Dell’italico spirto che nulla puote scalfire In evidenza
Ebbene, v’è un’orazione che l’italiche genti dovrebbero udire, ma niuno la pronunzia! Dunque, sanza indugio, prenderommi cotal fardello, e che le Muse m’assistano.
Fratelli e sorelle italiani, a voi dimando ciò: se cotesta Italia è sì decadente, se le scuolae fanno armenti diplomati, se l’incapaci governano e li capaci fuggono com’esiliati, se tutto volge alla rovina, perché gl’italiani nei reami altrui sono sì valenti et portentosi?
Li barbari stranieri non bramano altro che l’italico ingegno, tanto abili siamo a risolver li problemi loro. Su cotesta terra, dominata da villani et babbei sanza lumi, sorgon piuttosto mani brillanti et geni come fussero raperonzoli. È forse una burla dell’Altissimo?
Credete a me: li stranieri, a casa loro, son nella bambagia, e ciò non gli giova. Se uno segue virtute e canoscenza, ecco lo Stato mecenate che gli fa piovere denari sul capo. E chi principia l’attività de li commerci, ecco che vede sparir le tasse, et riceve aiuti d’ogni sorta. E chiunque primeggia nell’arte sua, niuno l’ostacola, sì che sia solo l’ingegno a comandare. Tanta iustizia e rettitudine, debbo dirlo, fa le genti pigre: facile solcare i mari, col vento a favore.
L’Italia nostra, invece, è miserrima et disgraziata: li maestri non conoscono, l’artefici non hanno arte, l’inetti comandano, e chi possiede i lumi ha da faticare due volte, tre, quattro, e remar controcorrente, e sbatter la testa sugli scogli dell’altrui idiozia.
Ma non era forse Sparta, la città che crescea i figli suoi con durezza e crudeltà, a dare alla luce gli spirti migliori? E non è forse l’antica Agogè che rivive oggi nell’italiche tribolazioni, e che tempra l’animo de la gente nostra come niuno altro puote?
Fuor dall’Italia, l’ingegno vince grazie alla cosa pubblica retta. In Italia, l’ingegno vince nonostante la cosa pubblica storta. L’italiano a vent’anni è già Odisseo che torna a Itaca, è già San Giorgio che ha lottato col drago, è già Dante che ha veduto Lucifero.
Dunque, italiane e italiani, non perdete la speme: ché nulla, nemanco l’Italia sciagurata, con tutte l’angustie, et li debiti, et l’ingarbugliate trappole sue, puote portarvela via.
Voi ce l’avete già fatta, innumerevoli volte et sanza rimembrarlo mai, ergo ce la farete ancora. Ma stavolta, rimembratelo.
Considerate la vostra semenza, dicea il Sommo.
E dunque, felice anno venturo.
Vostro umilissimo,
Paoluccio da Fuligno