Incontro con "Sualzo", autore di fumetti ed illustratore
Antonio Vincenti, in arte Sualzo. Sassofonista mancato e disegnatore autodidatta, interessato alle cose del mondo
Ci conosciamo ormai da molti anni. Sapevo della tua passione per il disegno, ma è stata una vera sorpresa ritrovarmi a sfogliare L'improvisateur: ti avevo lasciato con un grande amore per il fumetto, ti ho ritrovato che ormai eri diventato un autore. Parlaci delle tue pubblicazioni, Antonio.
La mia carriera da fumettista in realtà prende forma abbastanza tardi, a trent'anni. E i primi passi, come sai, non li ho mossi in Italia. Non per mio volere, ci tengo a dirlo: avevo un progetto cui lavoravo ormai da tempo, ed un giorno ho deciso di proporlo alle case editrici italiane di fumetto. Una decina di tavole ed una breve sinossi. Ad oggi non saprei dire se hanno apprezzato o meno: non ho ricevuto alcuna risposta. Alternativa al naufragio, il mercato estero: francese, perché si sa che in Francia esiste una cultura della bande dessinée senza eguali. La selezione delle case editrici richiedeva un lavoro più certosino, dato il loro numero molto elevato. Decretato il podio delle più adatte al mio progetto (un podio allargato, fatto di una quindicina di nomi), non ho fatto altro che ripetere la stessa operazione già messa in atto, pur con esiti fallimentari, qui in Italia. Prima differenza: tutte le case editrici hanno risposto alla mia richiesta. Sia chiaro, tutti No; ma sempre meglio del silenzio assoluto. Ad alcune non piaceva l'idea, ad altre piaceva ma non rappresentava un buon investimento. Nessun Il tuo lavoro è una schifezza, comunque...
Perché poi, se qualcuno finisce per produrlo ricavandone un gran successo, allora sì che ti mangi i gomiti. Criticare apertis verbis l'autore ed il suo lavoro è una mossa rischiosa, che solo pochi possono permettersi.
Sì, vero. Anche se devo ammettere che è andata bene così. Al quattordicesimo rifiuto, infatti, è seguito un ultimo, unico Sì. Discover, neonata collana per fumettisti emergenti, è lo spazio che Paquet Eds ha messo a disposizione per me e la mia piccola idea. Ci vuole anche culo, questo intendevo dirvi. Era il 2008, e L'improvisateur vendeva in Francia circa 3500 copie: un risultato rasente la delusione per gli standard francesi, ma che paragonato alla media italiana rappresentava una punta di diamante. Non sorprendetevi, allora, se vi dico che nel 2009 la Rizzoli ha acquistato i diritti del mio libro solo indirettamente, passando per Paquet Eds. E devo ringraziare Gipi per la splendida (ed esagerata nientemeno) prefazione realizzata per questa edizione, scritta dopo essersi imbattuto casualmente in questo mio libro quando ancora vibrava di sonorità francesi.
Come spieghi questo scarto, tuttora esistente, fra l'idea di fumetto che si ha in Italia e quella che invece si riscontra in Francia?
Non serve dire che il fumetto, qui in Italia, è visto come un prodotto di nicchia, alla stregua della poesia. Ciò contribuisce a creare diffidenza, e a fare del fumettista una figura professionale che se la gioca ad armi pari con il lanciatore di coriandoli. Non esiste una cultura del fumetto, e al di fuori del monopolio editoriale esercitato dalle poche case editrici affermate – parlo della Disney e della Bonelli – non c'è spazio per progetti propri. O almeno, questo è quello che accadeva fino a poco tempo fa. Sta cambiando qualcosa: BAO Publishing, oggi, e Coconino Press, già qualche anno fa, hanno aperto le porte ad una nuova idea di fumetto, lontana tanto dal lavoro di nicchia quanto dalla produzione seriale. Fumetto e libro sono due termini che non si dovrebbe più aver timore di accostare l'uno all'altro. Io stesso sono stato autore di una gaffe clamorosa, quando sono arrivato in Francia la prima volta: mi sono precipitato in edicola, e con mia grande sorpresa non sono riuscito a trovare nessuno dei titoli di fumetti che mi ero ripromesso di acquistare. C'è voluto il rimprovero bonario dell'edicolante per capire che il fumetto, lì, non è un prodotto da edicola ma un'opera cui spetta un proprio cantuccio all'interno di una libreria, esattamente come i classici della letteratura, i romanzi storici, i gialli e così via. In Italia, oggi, le 75000 copie di Dimentica il mio nome rappresentano un unicum nell'editoria fumettistica; in Francia non è insolito che la gran parte dei fumettisti raggiunga, e superi, questa cifra. La tiratura media è di oltre 20000 copie: fu la Coconino la prima casa editrice a raggiungere, nel Bel Paese, cifre di questo tipo con le opere di Gipi, ormai alcuni anni fa. D'altro canto, carta canta: nelle classifiche dei libri più letti durante la settimana, Zerocalcare ha raggiunto un risultato mai sperato collocandosi nelle prime posizioni al momento dell'uscita del suo ultimo libro. Podio meritato ma che ben presto, e non certo per una questione di demerito, non lo ha più visto protagonista: il boom iniziale delle vendite, benché strabiliante, non è riuscito a scalzare la tendenza tutta italiana a considerare il fumetto come un'opera altra rispetto ad un libro. Il classico libro composto di sole parole, nero su bianco, che non ha tardato a riconquistare il posto solo momentaneamente occupato da disegni e balloon. In Francia questo non accade: si leggono fumetti come qualsiasi altro prodotto letterario ed il confronto non è mai impari, come dimostrano le classifiche che La Repubblica stessa non manca di riportare nella sezione dedicata.
Hugo Pratt, quando era in vita, non c'era una settimana che non occupasse il podio di queste classifiche. È una mancanza di sensibilità che caratterizza irrimediabilmente la nostra editoria, ormai. Credo che alla fine il fumetto diverrà un secondo teatro. Finiranno per salvarsi solo i prodotti di qualità elevata secondo un processo di selezione naturale, il medesimo che determina ancora oggi il successo di Shakespeare ed accantona nel dimenticatoio tutto ciò che non è destinato a lasciare impronta alcuna. Una prospettiva non così deprecabile, in fin dei conti.
Ho sempre sostenuto che quello del fumetto è lo spazio nel quale il darwinismo ha maggiore possibilità di riuscita. Non è casuale che dopo l'arrivo del successo, se così vogliamo chiamarlo, un'altra casa editrice italiana, la Tunué, abbia deciso di pubblicare nel 2011 Fiato sospeso, nuova opera a quattro mani. Ed eccomi qui, oggi: circa due anni fa BAO Publishing ha deciso di pubblicare Fermo cui ha fatto seguito Gaetano e Zolletta, edito a settembre di quest'anno. Per il 2016 è prevista l'uscita di un nuovo libro, cui ho già iniziato a lavorare per via dell'impegno richiesto dalla narrazione degli avvenimenti che lo andranno a comporre, legati imprescindibilmente alla mia vita. A conti fatti, oggi posso definirmi un autore di fumetti, benché la gran parte delle pubblicazioni che annovero sia il frutto del mio lavoro da illustratore. Ché diciamocelo, disegnare è ciò che amo di più fare, ma anche pagare le bollette è un onere cui non si può scampare.
Parlaci delle illustrazioni.
Si tratta perlopiù di illustrazioni per l'editoria scolastica. Cioè disegni che realizzo per i libri di scuola, quelli su cui studiano i vostri figli come anche i miei. Può trattarsi di illustrazioni per libri di letteratura italiana, di geografia o di inglese. In casi come questo, alla creatività di cui dispongo sono necessariamente imposte delle direttive. Una volta comprese le esigenze dell'editoria scolastica, comunque, rimane un ampio spazio per l'ideazione di un'illustrazione che rispetti le mie esigenze creative ed i miei gusti. Oltre a questo realizzo per l'editore Giunti Kids, collana Bollicine, libri illustrati per bambini e ragazzi. Io disegno, Silvia Vecchini scrive. Questa collaborazione va avanti ormai da anni: mi sono trovato sempre molto bene con lei, talmente bene che abbiamo avuto tre figli insieme! È un'autrice fantastica, ricca di una sensibilità tutta femminile per la quale non trovo altra descrizione possibile. È un lavoro di squadra che funziona, il nostro. Abbiamo ben chiari i diversi passaggi da svolgere: Silvia scrive degli splendidi testi, io li prendo e li sfiletto, li rielaboro a misura di balloon e creo il disegno. Trattasi di un lavoro infausto, il mio. Silvia scrive infatti delle pagine bellissime, che avrei la tentazione di prendere dalla prima all'ultima riga e di adattare così come sono alle immagini che fanno nascere nella mia testa. Ritengo tuttavia che si tratterebbe di un'operazione ingiusta nei confronti di questo genere letterario: essendo delle splendide storie, dovrebbe pubblicarle sotto forma di romanzo; per far sì che da esse scaturisca un fumetto, invece, è necessario che io mi macchi di questo crimine e provveda a modificarle qua e là, conferendo alla splendida prosa di mia moglie quel che le serve per trasformarsi in fumetto. Esistono autori che non tollererebbero una revisione di questo tipo. Con mia moglie, invece, non ci sono attriti: sappiamo entrambi che è un'operazione necessaria; questo non impedisce a Silvia di continuare a scrivere delle lunghe storie bellissime.
Come sei approdato all'illustrazione e al fumetto?
Avevo sei anni quando ebbi un'epifania: ero a casa malato e papà mi riportò un numero del Corriere dei piccoli. Fu amore a prima vista, non avevo mai avuto a che fare con qualcosa del genere. A partire da quell'istante decisi che avrei fatto del disegno il mio mestiere di vita ed iniziai a disegnare senza posa. Da autodidatta, con il passare del tempo, mi rendevo perfettamente conto di non poter entrare nel mondo del fumetto dal portone d'ingresso; piuttosto, avevo bisogno di sgusciare attraverso la porta sul retro per poter essere minimamente concorrente. E così feci. Con Silvia, in procinto di laurearsi, capimmo sin da subito di dover trovare un'idea accattivante, tale da poterci proporre sulla scena editoriale in modo innovativo. Ecco allora che iniziammo ad esplorare la realtà locale. Musei, perlopiù. Ciò che ci colpì, qui, era la mancanza di guide e dépliant per visite scolastiche. Decidemmo quindi di elaborare un nostro pacchetto fatto di libricini autoprodotti che attraverso l'utilizzo di illustrazioni e didascalie esplicative potessero essere utilizzati ad hoc. Ci ritrovammo ad occuparci della pesca come degli Etruschi. Ed era tutto molto divertente. Mia moglie, che fra le altre cose possiede un baccalaureato in Teologia, fu la prima a sterrare la strada dell'editoria scolastica quando mi propose di realizzare testi ed illustrazioni per dei libri di religione. Totalmente inesperto, decisi di buttarmi. E alla fine ne è valsa la pena. Oggi fare l'illustratore per questa editoria mi permette di portare a casa un buono stipendio, oltre che appagare la mia sete di disegno. Il tempo che posso dedicare ai fumetti è quello che avanza da questo primo lavoro, ma mi ritengo una persona fortunata: per capirci, disegno comunque 24 ore su 24, non sono costretto a passare di palo in frasca. Di nascosto, una volta a settimana, rubo anche le poesie di mia moglie: mi diverto ad illustrarle, sono molto belle. Caterpillar sta rimbalzando questa iniziativa, titolandola Una tavola, una poesia: è una cosa che ci rende molto orgogliosi, speriamo possa avere un futuro altrettanto roseo.
Arrivati a questo punto parliamo di disegno, allora. Hai già detto di essere un autodidatta: come hai imparato ciò che sai sul disegno? Quali tecniche utilizzi?
La mia idea fissa è sempre stata il disegno. Una volta deciso che avrei disegnato per il resto della mia vita, ho iniziato ad attrezzarmi. Sono abituato a disegnare ciò che ho in mente, è raro che mi abbandoni all'ispirazione più selvaggia. Invidio quelli che ne sono capaci, purtroppo io funziono diversamente. E lo stesso vale per l'utilizzo del colore: non fa parte del mio repertorio utilizzare l'acquerello in maniera impressionistica, come fa Gipi; piuttosto ricerco un effetto propriamente fumettistico. Comunque utilizzo molto anche Photoshop. Avevo intuito l'importanza del computer per il futuro del fumetto agli esordi della mia carriera. Ecco perché decisi sin da subito di armarmi di computer e pazienza, sforzandomi di imparare ad utilizzare programmi di questo tipo. Alla cara e vecchia matita, comunque, non riesco a rinunciare. Il disegno, per me, è disegno a matita. Per esigenze di tempo molti dei lavori che realizzo per l'editoria scolastica sono disegnati e colorati interamente con Photoshop. Tuttavia, il resto dei miei progetti nasce dalla mina della mia matita. Sono una persona molto meticolosa nella lavorazione del disegno, ed eccessivamente lenta. Avrei bisogno di un tempo infinito per lavorare ai miei progetti, ma ormai ho imparato a fare i conti con questa impossibilità. Una volta Gipi mi ha preso in giro non poco quando gli ho spiegato il mio metodo di lavoro: abituato com'è ad una realizzazione istantanea delle tavole, mi ha dato del pazzo quando gli ho parlato delle copie, delle scansioni, delle inchiostrazioni successive ed innumerevoli in cui mi perdo quando lavoro ad una sola tavola.
Magnus, che era Magnus, faceva lo stesso. Dall'inizio alla fine della lavorazione di una tavola, finiva per ridisegnare il soggetto cinque, sei, sette volte. Sette disegni, tutti ugualmente splendidi.
Un paragone perso in partenza! Una cosa comunque ce l'ho ben chiara: per riuscire a lavorare bene è importante che io abbia in mente sin dalla mattina il piano della giornata. Se l'ispirazione non mi coglie lungo la scala esterna che devo scendere dalla casa allo studio, durante quei cinque minuti che impiego per arrivare dalla soglia della porta di casa al tavolo da disegno, allora è finita.
Interviene Moreno Chiacchiera, illustratore umbro – Almeno hai un motivo per alzarti la mattina, scendere le scale fino allo studio. Ti invidio: questa è la fortuna di chi non ha lo studio in casa. Io sono costretto a rimanere in pigiama tutto il giorno.
Memorie di un uomo in pigiama, come disegnava Paco Roca.
Ultima domanda, dal pubblico, durante le dediche illustrate: Perché Sualzo? Cosa significa?
Mi sembrava strano che nessuno avesse azzardato la domanda sinora. Solitamente è la seconda o terza cosa che mi viene chiesta. Chi abita nei pressi del lago sa che sualzo è un termine gergale umbro utilizzato per indicare un uccello la cui peculiarità è tuffarsi in acqua e rimanere in apnea a lungo. Una sorta di uccello anfibio. Credo non ci sia immagine più azzeccata per descrivere la vita del fumettista, una vita di perenne apnea. Ho già detto che desidererei delle giornate lunghe 72 ore? E tanto non mi basterebbero... Vi svelo una curiosità: questo soprannome nasce casualmente, al momento dell'apertura della partita Iva. Mi sembrava un'idea carina, ma non pensavo avrebbe avuto un seguito. Fu la Paquet Eds che un giorno, al momento della pubblicazione, ha parlato di me come di Antonio Vincenti soprannominato Sualzo. O Sualzò, chi se lo ricorda. Sempre meglio di chi è convinto che il mio nome sia Vincenzo!