Dello pubblico conio tolto alli partiti In evidenza
Sovente mi ritrovo a dibatter con taluni a proposito delli meschini legislatori nostri, massime tra le penitenze che l’Altissimo ha inteso farci scontare. Ma se v’è qualcuno che più di quelli mi toglie la speme, costoro son l’elettori, il popolino che guarda basso, che tiene solo alli quattrini e oblia tutto il resto, che mira alle ghiandae a terra più tosto che all’albero.
Rimembrerete certo, Signor mio, l’abolizione della pecunia destinata all’odiati partiti, che procurò un tal gaudio allo popolo caprino ch’essi crederon d’aver risolto chissà quali garbugli. Ma non siam forse sottomessi ancora alle stesse bande di malfattori dalle buone vesti? E sanza quei danari nostri, essi non son forse ancor più motivati a rivolgersi a oscuri tesorieri e compagni di saccheggi, che or meglio agiscono sulle leggi e chi le fa?
Un cittadino dev’esser ben lieto di finanziar la Repubblica sua: non togliere a questa li danari lasciandola in balia de’ ladri, ma toglier li ladri, per Dio! Li quali altrimenti, sciolti dall’impegno de lo pubblico quattrino, saran più scatenati che pria! Parmi questa, Dottor mio, una di quelle commediole dove lo marito sempliciotto si taglia via lo viril peduncolo suo, sicuro di far così dispetto alla moglie fedifraga.
Io mi provai più volte a spiegarlo alle genti, ma esse prediligono schernire a parole gli usurpatori più tosto che avversarli secondo ragione, e se battagliano unite lo fanno solo allo stadio de li giochi, perciò confido almeno in Voi, che sanza dubbio m’intenderete.
Pria di partirmi, lasciatemi rinnovar l’augurio per questo Vostro superbo incunabolo de lo Piacere che compie dieci anni, che tant’altri ne abbia a venire, e che la primavera dai mille colori porti luce e chiarezza almeno a Voi.
Vostro umilissimo, Paoluccio da Fuligno