Legioni d‘imbecilli In evidenza
Egli, dibattendo con austero cipiglio su quell’Internet che come una magia regola le vite nostrae, ebbe l’ardire di affermar ch’esso dà facoltà di parola a legioni d’imbecilli.
E tutte le genti dette anco “il popolo retino” (cioé a dire della rete), o cretino, si fussimo in vena d’ironia, immantinente ebbero a risentirsi, come se ‘l Dottore gli avesse offeso le madri – sull’onorabilità delle quali non pronuncerommi, che già l’ingegno de’ figli dice assai.
Ma dico io: cosa berciano, cosa latrano? Son essi i primi a denunziar, severissimi come fussero l’Altissimo, l’idiozia straripante! Essi trascorron l’ore a rimarcar l’altrui stoltezza, ne’ commenti de lo Feisbucco, e mentre con serissimo sdegno la biasimano – per cavarsene fuori e dirsi migliori – ecco che ne sono intrattenuti come dalle commediae, come se bearsene giovasse allo spirto, come si fusse una burla e un giuoco, anzichè una malasorte.
Se la filippica giunge dall’utenza caprina è dunque dogma sacrosanto, ma se vien dall’Eco dal mirabile ingegno, essa non solo non è più dilettevole, ma nemanco vera! Che garbuglio è mai questo?
La verità è che l’intelletto loro è sì stordito, oramai, ch’essi non vedono ‘l danno de la barbarie, né il morbillo che l’infanti torna a flagellare, né le masse animate dalle propagande becere. Tra ‘l ragionamento e l’intrattenimento, di certo non indugiamo nel primo, e allora datemi voi la speme, Egregio, che le scorte mie non arrivano alle Feriae Augusti.
Prendendo congedo da Voi, non chiederò consiglio alla notte o a lo sonno, poiché siam vieppiù assopiti e rimbambiti, e più tosto volgerommi al Sole.
Che la luce – giusto Ella è rimasta – ci porti consiglio.
Vostro umilissimo
Paoluccio Da Foligno