L'editoriale n.133
Se ci fossero stati i social quando hanno inventato la penicillina, oggi saremmo estinti
C’è una cosa che ancora in troppi, chi in nome della legge (avvocati e magistrati), chi in nome di Dio (i preti), chi in nome dell’istruzione (i docenti universitari), chi in nome dell’informazione (il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna) sembrano non aver capito sui vaccini. Che con la gara a chi è più indispensabile non ne usciamo più. Il solo modo per tornare liberi il prima possibile e mettere al sicuro il maggior numero di persone non è scavalcando anziani e persone fragili in nome di categorie “indispensabili”. Ma è soltanto vaccinando anziani e persone fragili prima di chiunque altro che riconquisteremo anche la nostra libertà.
E gli unici a essere esentati da questo discorso sono i medici (non il personale amministrativo delle ASL!!) che stanno in prima linea e soprattutto stanno a contatto con i malati che dunque vanno protetti. Perché poi un secondo tema di fraintendimento rischia di essere rappresentato dal concetto di “esposizione”.
Certo ci sono categorie più esposte di altre: cassiere e cassieri del supermercato, politici, forze dell’ordine e in generale chiunque stia al pubblico... ma ancora una volta questo rischia di essere un criterio fuorviante se applicato alle priorità vaccinali.
Oggi l’obiettivo non può essere quello di limitare il contagio (ci arriveremo ma più avanti) ma deve essere quello di abbattere mortalità e ospedalizzazioni, ovvero i due fattori che hanno trasformato la pandemia in una tragedia e che hanno comportato chiusure e limitazioni. Decongestionando gli ospedali – si è sempre detto – questo virus farebbe molto meno paura.
Quindi basta polemiche e si faccia andare avanti chi ne ha più bisogno (leggasi chi ha più probabilità di sviluppare sintomi gravi, non chi ha più possibilità di contagiarsi, né chi pensa di essere più indispensabile di altri).
E ricordatevi che quando finalmente torneremo alla libertà, quella vera, là fuori troveremo un mondo che, anche grazie alla rete, è andato avanti senza aspettarci: l’11 marzo da Christies a New York è stata battuta alla cifra record di 60 milioni di dollari un’opera d’arte nella prima asta riservata a un “non fungible token”. E così, dopo le cryptovalute irrompe sulla scena anche la cryptoarte da primato; nello specifico l’opera intitolata “The first 5000 Days”, altro non è che un monumentale collage digitale dell’artista Beeple, al secolo Mike Winkelmann, le cui creazioni sono registrate su blockchain con un NFT (Non Fungible Token) criptato e contenente la firma dell’artista. Il token serve a verificare il legittimo proprietario e l’autenticità della creazione.
Stessa dinamica e stessa tecnologia per la vendita del primo tweet di Jack Dorsey che all’asta ha superato i 2,5 milioni di dollari. Benvenuti in un racconto di Philip K. Dick.
Se non è fantascienza ne è perlomeno la sala d’attesa.
E adesso, come se non bastasse, sulla piattaforma digitale Valuablè, è possibile acquistare e vendere tweet autografati dai relativi creatori. Fosse la volta buona che divento ricco.