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L'editoriale n.154

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“Non è mai troppo tardi per essere ciò che avremmo potuto essere” (George Eliot)

L’Umbria torna a essere il cuore rosso d’Italia. Dopo Perugia, per dieci anni in mano al centrodestra, il centrosinistra si riprende anche la Regione, persa 5 anni fa in seguito allo scandalo Sanità che ha parzialmente riscritto la storia recente della politica umbra. E, ironia della sorte, lo fa dopo una campagna elettorale tutta incentrata, da parte della sinistra, sull’attacco alla gestione Sanità della Giunta uscente. Memoria corta verrebbe da dire.

Il dato oggettivo è che con Stefania Proietti in Regione resta un’egemonia rosa (in questo caso con una esse sola) che in Umbria, unica regione d’Italia, va interrottamente avanti da 20 anni. Piccoli primati che ci rendono meno chiusi di quanto ci vorrebbero dipingere.

Il dato soggettivo è che dopo cinque anni di buon governo con risultati molto importanti sul fronte del turismo e delle imprese, la bocciatura del governo uscente mi sembra ingenerosa. La democrazia è sacra ma la sensazione è che la campagna si sia giocata più sul piano ideologico e delle speculazioni che su quello dei contenuti.

Questo è. Ma certo nei vertici del centrodestra dovrebbe partire qualche buon esame di coscienza. Tornando ai risultati: merita una standing ovation la performance di Andrea Romizi che segna una sorta di record con oltre 10mila preferenze, continuando a dimostrarsi un fuoriclasse in termini di gradimento e di empatia con gli elettori.

E resta il successo di una persona perbene e preparata come Stefania Proietti. Se saprà smarcarsi dalla politica del no di uno scomodo compagno d’avventura come i Cinquestelle e imporre una visione da sinistra europea al radicalismo nostrano potrà fare bene.

Scusate la digressione politica ma l’attualità la imponeva. Senza dimenticare che con il Natale alle porte dovremmo essere tutti più buoni e - dopo mesi di campagna elettorale dai toni accesi - provare a riporre l’ascia di guerra in nome del bene comune.

È ora di tornare a essere una terra di santi e non di santini.

 

L'editoriale n.154
   
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Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.

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