La ristorazione fra emergenza, domicilio e futuro... In evidenza
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Perugia, ventesimo giorno di quarantena o giù di lì. Per la cena di questa sera ho deciso di affidarmi a uno dei ristoranti della città che in questo periodo stanno provando a fare servizio a domicilio.
Ho ordinato attraverso la pagina Facebook e pagato pochi minuti dopo su Paypal, a questo punto devo solo aspettare la consegna, intorno alle 21:00. Lo stesso avrei potuto fare per il vino, tante le cantine e le enoteche che si sono organizzate per consegnare ai propri clienti in queste settimane così strane, durante le quali il tempo sembra essere sospeso o quasi.
Soluzioni temporanee che possono forse limitare almeno un po’ i danni e aiutare in termini di immagine, ma non se ne esce: questa è destinata a essere una delle più gravi crisi che il settore abbia mai conosciuto. Se per alcuni beni - un’automobile o un frigorifero - l’acquisto è stato magari solo rimandato le cene e le bottiglie di vino di questi mesi (per non parlare dei viaggi) non verranno recuperate. Sono andate, pezzi di fatturato che non sono destinati a tornare. Considerazione peraltro valida solo per chi riuscirà a cavarsela, diverse le insegne che saranno costrette alla chiusura.
Non solo. La ristorazione che abbiamo conosciuto fino a oggi quando tornerà, tale e quale? Quando il Paese finalmente “riaprirà”, quanto dovranno essere distanti i tavoli, l’uno dall’altro? Sarà ancora possibile mangiare e bere al bancone, a poche decine di centimetri dal barista o dal cameriere? E i menù, andranno sterilizzati dopo ogni utilizzo? I cestini del pane saranno solo monouso? La capacità di spesa dei clienti sarà la stessa? E potrei continuare. Nessuno ha (ovviamente) risposte pronte, quello che appare però certo è che tutta la ristorazione dovrà porsi domande anche solo inimmaginabili un mese fa. Problematiche reali, concretissime quanto spaventose, relative non solo alla gestione dell’emergenza ma anche al modello della propria proposta, con ripercussioni enormi su tutta la filiera di approvvigionamento. Con la speranza di tornare a brindare con lo stesso entusiasmo di sempre, il prima possibile.
Soluzioni temporanee che possono forse limitare almeno un po’ i danni e aiutare in termini di immagine, ma non se ne esce: questa è destinata a essere una delle più gravi crisi che il settore abbia mai conosciuto. Se per alcuni beni - un’automobile o un frigorifero - l’acquisto è stato magari solo rimandato le cene e le bottiglie di vino di questi mesi (per non parlare dei viaggi) non verranno recuperate. Sono andate, pezzi di fatturato che non sono destinati a tornare. Considerazione peraltro valida solo per chi riuscirà a cavarsela, diverse le insegne che saranno costrette alla chiusura.
Non solo. La ristorazione che abbiamo conosciuto fino a oggi quando tornerà, tale e quale? Quando il Paese finalmente “riaprirà”, quanto dovranno essere distanti i tavoli, l’uno dall’altro? Sarà ancora possibile mangiare e bere al bancone, a poche decine di centimetri dal barista o dal cameriere? E i menù, andranno sterilizzati dopo ogni utilizzo? I cestini del pane saranno solo monouso? La capacità di spesa dei clienti sarà la stessa? E potrei continuare. Nessuno ha (ovviamente) risposte pronte, quello che appare però certo è che tutta la ristorazione dovrà porsi domande anche solo inimmaginabili un mese fa. Problematiche reali, concretissime quanto spaventose, relative non solo alla gestione dell’emergenza ma anche al modello della propria proposta, con ripercussioni enormi su tutta la filiera di approvvigionamento. Con la speranza di tornare a brindare con lo stesso entusiasmo di sempre, il prima possibile.