Ciao, e grazie In evidenza
Fast good chiude. Dopo 16 anni questa rubrica si ferma
Due i grazie più importanti, sostantivo fondamentale che da sempre preferisco all’inizio più che alla fine. A Matteo Grandi, direttore che in questo lasso di tempo così esteso mi ha sempre sostenuto e dato la libertà più totale nell’affrontare ogni possibile argomento.
A voi, lettrici e lettori che mi avete accompagnato in un viaggio straordinariamente affascinante, per distacco la cosa più lunga e costante abbia fatto nella vita.
Quante cose sono successe: in un quindicennio il mondo intorno a questa pagina è cambiato più di quanto sarebbe stato possibile immaginare. Quanta strada abbiamo percorso: attraverso la rubrica ho provato a testimoniare proprio alcuni dei tanti cambiamenti che Perugia e più in generale l’Umbria hanno vissuto in questo periodo di tempo. Dal vino, da Orvieto a Montefalco passando per territori meno noti ma non meno rilevanti, alla ristorazione, oggi più vivace che mai. Chi l’avrebbe mai detto che la zona di Perugia sarebbe stata presa ad esempio in Italia come uno dei territori del vino italiano di maggior fermento? Merito di un pugno di cantine che in tempi non sospetti avevano capito che una strada artigiana era possibile al di fuori delle denominazioni più note. Che a partire dalle varietà storiche del territorio - grechetto, trebbiano e sangiovese - sarebbe stato possibile costruire una narrazione nuova. Un racconto che un po’ ha guardato al mondo del vino naturale e che ha saputo al tempo stesso proporre vini di sostanza e non solo di estetica, vini buoni con la bi maiuscola, ovvero vini ricchi di significato e non solo vini capaci di ammiccare a un mercato costantemente in cerca di novità.
Se Montefalco ieri era sinonimo di sagrantino oggi è territorio non solo capace di identificarsi con più di una sola varietà (su tutte: il trebbiano spoletino) ma anche di imporsi come luogo del vino a tutto tondo. Ne scrivevo qui appena un paio di mesi fa: l’esperienza, in generale il passare del tempo, ha reso molte cantine più mature, più consapevoli dei mezzi a propria disposizione con un risultato tangibile: a Montefalco non si è mai bevuto (e mangiato, le due cose vanno di pari passo) così bene. La zona di Orvieto è quella che invece fa storicamente e con pochissime eccezioni registrare meno novità. Un peccato, si tratta infatti in potenza almeno per l’area “classica” di una delle più straordinarie zone del vino italiano, capace di regalare bianchi di spessore assoluto oltre che di sorprendente longevità. Troppo poche però le (ottime) cantine che ci credono, che non riescono ad arginare le corse al prezzo più basso o all’omologazione enologica. Appena chiaroscurale anche il bel percorso intrapreso in alcune aree intorno a specifiche varietà: da Narni con il ciliegiolo a Todi con il grechetto fino al Lago Trasimeno con il gamay/grenache, territori che sono riusciti a emergere grazie ai risultati di poche cantine i cui vini ancora oggi vengono di rado presi come modelli stilistici di riferimento dalle altre aziende della zona. Ma lo scenario resta straordinariamente positivo: l’Umbria ha una visibilità in proporzione molto maggiore rispetto alla sua produzione, poco oltre l’un per cento del vino italiano.
Un dato che è idealmente possibile traslare al mondo della birra artigianale. Ne scrivevo qui all’inizio quest’anno: “è impossibile non notare quanto in questi ultimi anni il comparto sia cresciuto, a birrifici ormai storici e consolidati si sono affiancate realtà capaci di affermarsi come protagoniste”, interpreti che sintetizzano alla perfezione una serie di tensioni positive della filiera che nascono nei contesti più diversi, pubblici e privati. Avanti così.
Per non parlare di quello che è successo nel piccolo mondo del fine dining regionale, settore che quindici anni fa (con la quasi sola eccezione del famoso ristorante di Baschi, sulle sponde del Lago di Corbara) era dato per esanime. Lo scorso novembre la guida Michelin con la sua pioggia di nuove stelle non ha fatto che certificare quello che da tempo era sotto gli occhi di tutte le persone appassionate di ristorazione: in Umbria non si è mai mangiato così bene. Un livello qualitativo stimolante anche per la diversità che racconta: ogni chef esprime la propria sensibilità in maniera chiara, riconoscibile attraverso piatti peculiari, che ne raccontano con forza le idee e i diversi approcci. Scrivevo così proprio alla fine del 2023: “nessun modello è stato ripreso ed adattato altrove, ognuno di questi ristoranti è figlio di un percorso unico e non riproducibile, testimonianza di quel fermento e di quella vivacità che da queste pagine raccontiamo da anni”. Non solo alta ristorazione: in questi anni alcune delle più importanti insegne della tradizione hanno migliorato e consolidato la propria offerta. Non è vero sempre, non è vero dappertutto, ma anche in Umbria è possibile imbattersi in alcune osterie di grande spessore, luoghi capaci di esaltare tanto le ottime materie prime del territorio quanto le loro ricette. È un circolo virtuoso: più sono le realtà che puntano sulla qualità più la filiera produttiva che è alle loro spalle tenderà a seguirle. Dai formaggi alle carni, dagli ortaggi agli (sempre eccellenti) oli regionali.
E quindi: che figata l’Umbria contemporanea.
Ciao, ancora grazie.