Ancora vino: un Colbacco per un deciso cambio di prospettiva In evidenza
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Ci sono Giulio Rinaldi e Luca Bigicchia, giovani ed entusiasti neo-produttori non lontano da Marsciano, a fornire le fondamenta agricole (Lumiluna, vedi PM #120)
C’è Marco Durante, anche lui neonato vignaiolo con il progetto Il Signor Kurtz, a custodire la parte più strettamente produttiva, quella della cantina. C’è Guido Santarelli, una vita a fare altro con una costante passione per il vino, la convivialità, le buone idee, a fare da propulsore commerciale. Quattro amici che hanno deciso di recuperare alcuni vecchi vigneti a sud di Perugia vinificandoli a partire da un’idea comune: produrre vino naturale senza guardare al passato ma anzi mantenendo quanto di buono la tradizione contadina ha tramandato declinandola nella contemporaneità.
Il risultato è stupefacente. La prima produzione, quella del 2018 da poche settimane disponibile, racconta una visione tanto chiara quanto dirompente: è possibile parlare di vino anche senza guardare come prima cosa da quali varietà è nato o al luogo dove questo è stato prodotto. Gli aspetti da evidenziare, qui, sono altri e hanno a che fare con il perché e con il come: la decisione di lavorare in regime biologico piccoli appezzamenti strappandoli dall’abbandono; la scelta di vinificare senza alcun paracadute enologico, in totale assenza di anidride solforosa, ovviamente con sole fermentazioni spontanee, senza controllo della temperatura, chiarifiche o filtrazioni di sorta; la volontà di guardare alla collettività di un progetto più che alla personalità di un produttore. Un cambio di prospettiva per certi versi radicale.
Il mio preferito si chiama “Quartoprotocollo”, vino rosso che profuma di estate e di merende sotto gli alberi, vino di campagna ancora prima che di terra. Il “Maracaibo” è un rosato che richiama certi tramonti d’estate, spensierato ma tutt’altro che sottile. Il “Kalima”, bianco prodotto a partire da una lunga macerazione sulle bucce, è il più importante dei tre: il più severo e il più profondo, forse il più affascinante.
Il risultato è stupefacente. La prima produzione, quella del 2018 da poche settimane disponibile, racconta una visione tanto chiara quanto dirompente: è possibile parlare di vino anche senza guardare come prima cosa da quali varietà è nato o al luogo dove questo è stato prodotto. Gli aspetti da evidenziare, qui, sono altri e hanno a che fare con il perché e con il come: la decisione di lavorare in regime biologico piccoli appezzamenti strappandoli dall’abbandono; la scelta di vinificare senza alcun paracadute enologico, in totale assenza di anidride solforosa, ovviamente con sole fermentazioni spontanee, senza controllo della temperatura, chiarifiche o filtrazioni di sorta; la volontà di guardare alla collettività di un progetto più che alla personalità di un produttore. Un cambio di prospettiva per certi versi radicale.
Il mio preferito si chiama “Quartoprotocollo”, vino rosso che profuma di estate e di merende sotto gli alberi, vino di campagna ancora prima che di terra. Il “Maracaibo” è un rosato che richiama certi tramonti d’estate, spensierato ma tutt’altro che sottile. Il “Kalima”, bianco prodotto a partire da una lunga macerazione sulle bucce, è il più importante dei tre: il più severo e il più profondo, forse il più affascinante.
Alla cena di presentazione di questo progetto, si chiama COLBACCO, si è detto che l’Umbria di oggi è forse la Catalogna del vino naturale italiano. Chissà se è davvero così, di certo quello che stiamo vivendo da queste parti è un momento fantastico.
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