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L'editoriale n.130

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Ne siamo usciti peggiori

Il primo dubbio ce lo possiamo togliere subito: dopo aver passato mesi a chiederci se ne saremmo usciti migliori adesso abbiamo la risposta. Ne siamo usciti peggiori e anche di parecchio. 

E ormai siamo diventati nostro malgrado vittime e protagonisti di un film distopico in cui la rabbia è il motore di ogni interazione, l’invidia galoppa e la politica continua a partorire soluzioni degne di un B-movie. Fra demenziali banchi a rotelle (che trasformeranno le classi in luna park) e incapacità di mettere un freno agli assembramenti, la battaglia culturale sembra già persa. In primis sui giovani che, dispiace generalizzare, non sembrano avere la minima contezza della fase storica che stiamo vivendo né del livello di responsabilità necessario. 

Colpa forse dei cattivi maestri, come, per esempio, quella schiera di mezzi influencer, ex tronisti, aspiranti Ferragnez e morti di fama varii che sui social hanno scambiato il Covid per la challenge dell’estate, raccontando, ora beatamente sorridenti ora fintamente contriti, la propria positività di asintomatici soltanto per raccattare quattro like e mettersi al centro dell’attenzione. 

Ma questo è il contesto culturale in cui viviamo. Un vuoto cosmico, in cui anche il dibattito politico è diventato miseramente sterile, perché gli intellettuali hanno abdicato al proprio ruolo di maître-à-penser in favore degli influencer, i quali, a loro volta, parlano sotto dettatura degli uffici stampa e del politicamente corretto. E così l’articolazione dei pensieri salta, il confronto si azzera e lo spirito critico viene schiacciato dalla polarizzazione. Un contesto così deprimente che i pensierini di Chiara Ferragni sembrano massime di Sartre. 

Ma attenzione: perché questa china rischia di partorire generazioni di vuoti a perdere. E il drammatico, feroce, abominevole omicidio di Willy Monteiro a Colleferro è una sirena d’allarme che una società matura dovrebbe cogliere al volo. Ma non speriamoci troppo. 

Del resto come potremmo essere ottimisti noi umbri dal nostro punto di osservazione? 

Noi, spettatori impotenti del settimanale degrado del centro storico di Perugia? Un girone dantesco in cui locali senza scrupoli riempiono minorenni di superalcolici, in cui giovani e giovanissimi si assembrano, urlano e schiamazzano senza nessun senso di responsabilità né alcuna forma di rispetto. Un film che si ripete con le stesse scene e i medesimi protagonisti, settimana dopo settimana, fra minacce ai residenti, fiumi di urina (ed escrementi varii) nelle vie dell’Acropoli e consumo di droga a cielo aperto. 

Il tutto senza che si riesca a mettere un vero freno a un andazzo non più sopportabile. Sì, ne siamo usciti peggiori. Ma non illudiamoci: potremmo non aver ancora toccato il fondo
L'editoriale n.130
   
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Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.