Donne del vino, la strada è ancora lunga In evidenza
«L’Umbria si conferma come uno dei laboratori enologici più vivaci e interessanti del nostro paese. Ormai distante da un periodo non molto avvincente, dominato dall’ipertecnicismo enologico, la piccola regione al centro dell’Italia si è resa protagonista di una progressiva acquisizione di identità che non pare arrestarsi».
Così l’attacco dell’introduzione alle produzioni regionali su Slow Wine 2021, l’ultima edizione della famosa guida ai vini italiani curata da Slow Food.
Un dinamismo che negli anni è stato ampiamente raccontato anche su queste pagine e che è stato possibile grazie non solo a una nuova generazione di vignaioli ma anche a una rinnovata attenzione verso varietà e zone meno note. Sia cioè verso vitigni che fino a 20 anni fa erano considerati come minori (se non del tutto ignorati, penso un po’ al sangiovese vinificato in purezza ma soprattutto ad autentiche bandiere regionali come il grechetto, il trebbiano spoletino, il ciliegiolo, il gamay del Trasimeno) che verso aree lontane da quelle storicamente considerate come più importanti, Montefalco e Orvieto.
Tuttavia, anche io come giustamente ha scritto di recente la brava Maura Firmani «all’esultanza per questo fermento regionale nuovo e rivoluzionario sento di partecipare con un pizzico di rammarico perché a promuovere lo slancio innovativo e un po’ ribelle del vino umbro non c’è alcuna protagonista femminile». Una mancanza che pare oggi più chiara che mai anche alla luce di un 2020 che ha visto i temi dell’inclusione come una delle grandi storie del mondo del vino a livello internazionale. Non solo uomini a guidare le cantine dell’Umbria, ci mancherebbe, certo però il numero delle sue protagoniste, delle vignaiole, appare in regione ancora esiguo, per quanto ben rappresentato in termini di talento e più in generale di energie positive.
Per non parlare di quanto quello del vino (italiano, non solo umbro) sia universo straordinariamente sessista, dimostrazione di una strada ancora tanto lunga quanto impervia, almeno a guardare nelle pieghe più nascoste della nostra bevanda preferita.