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Come mai a perugia si mangia il pane sciapo? Tutta colpa della guerra del sale

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Vi siete mai chiesti come mai il pane che consumiamo a Perugia è rigorosamente sciapo?

La tradizione vuole che il pane sciocco sia diventato un baluardo della storia cittadina, simbolo di rivendicazione di autonomia dal giogo papale e assurge a simbolo dell’orgoglio cittadino quasi come il grifo o la Fontana Maggiore.

Ma veniamo ai fatti. Facciamo un salto temporale al 1539. Perugia è una fiorente città al centro di scambi commerciali e culturali con le altre città italiane (Siena, Firenze, Bologna, Milano), formalmente sotto lo Stato pontificio, nella realtà governata dalla nobile casata dei Baglioni, che in Collelandone aveva il suo prestigioso ed esclusivo quartiere di rappresentanza.

L’erario pontificio si era trovato a far fronte a una crescita vertiginosa delle spese militari e alla situazione si cercò di porre rimedio con una tassazione via via crescente con imposte straordinarie, un aumento della pressione fiscale indiretta, in particolare sui generi di prima necessità, tra cui, per l’appunto, il sale.

Lo Stato Pontificio infatti impose a Perugia di acquistare il sale non più dalle saline di Siena ma da quelle pontificie e ad un prezzo raddoppiato.

La comunicazione ufficiale dell’aumento del sale arrivò in città il 20 febbraio 1540. A marzo un messaggero pontificio recapitò la bolla di scomunica della città e della popolazione perugina, contro le quali il papa si riservava il diritto di rappresaglia. In città fu eletta una magistratura straordinaria composta da 25 cittadini: misero guardie alle porte cittadine con l’incarico di intercettare tutta la corrispondenza in entrata e in uscita, ma soprattutto dovevano reperire le risorse economiche necessarie alla difesa militare. Già agli inizi di aprile l’esercito pontificio composto da 8000 italiani e 400 lanzichenecchi entrò in Umbria iniziando a devastare il territorio: a guidare l’armata era Pier Luigi Farnese, il figlio di Paolo III, il “bastardo del papa” come lo definiva la nobiltà romana.

Alla popolazione non restava che perseverare nei preparativi della difesa e affidarsi alla protezione celeste. La città fu donata a Cristo che ne fu nominato patrono e signore nonchè primo difensore. Il 5 aprile 1540 un crocefisso venne collocato sopra la porta laterale della cattedrale di San Lorenzo, quella che dà verso la Piazza Grande: il Crocifisso ligneo opera di Polidoro Ciburri è ancora quello posto dai perugini nel 1540. Di fronte al crocefisso conveniva a ogni ora del giorno e della notte “gran moltitudine di persone scalze”. Questo rito aveva il suo scopo primario nel sostenere il morale della cittadinanza.

I Venticinque individuarono in Ridolfo Baglioni il condottiero che doveva condurre alla vittoria l’esercito perugino che schierava circa 2000 uomini. Nel mentre però le armate di Pier Luigi Farnese devastavano e saccheggiavano le campagne avvicinandosi sempre più alla città. La situazione perugina era assai più difficile di quanto si era prospettato. I papalini tentarono un attacco a sorpresa direttamente contro la città, ma il contrattacco dei perugini mise in fuga gli assediatori che lasciarono sul campo morti e feriti.

Dopo un inizio tutto sommato posi- tivo, la situazione per Perugia si compromise e Rodolfo decise di scendere a patti con i Farnese. La capitolazione venne conclusa la mattina del 3 giugno. Le condizioni erano che Ridolfo Baglioni con i suoi soldati potesse lasciare la città in assetto da battaglia e con le insegne spiegate, che la città venisse risparmiata ma sarebbe dovuta tornare sotto il dominio ecclesiastico. Ridolfo Baglioni lasciò Perugia seguito da moltissimi cittadini che non si fidavano di rimanere in città e Pier Luigi Farnese fece il suo ingresso trionfale in Perugia andando a prendere alloggio direttamente nel Palazzo dei Priori.

Pier Luigi Farense, su espressa volontà del padre, papa Paolo III varò una serie di misure umilianti per Perugia: la cittadinanza venne immediatamente disarmata, i Venticinque dichiarati ribelli, la magistratura dei Priori venne abolita e la città costretta a provvedere ai bisogni delle truppe di occupazione. La sanzione più pesante fu quella di essere privata del controllo sul contado, finendo di fatto sottomessa al diretto dominio pontificio e privata di ogni tipo di magistratura autonoma.

Il nuovo governatore della città, Bernardino Castellari della Barba vescovo di Casale, si fece promotore di un’iniziativa di penitenza collettiva volta ad ottenere il perdono del pontefice per i perugini, ma nei fatti un’umiliazione pubblica per la città sconfitta: un’ambasciata partì da Perugia alla volta di Roma per implorare la misericordia di Sua Santità e, recatisi in San Pietro vestiti di nero in segno di penitenza, al passaggio del pontefice i Perugini si gettarono a terra gridando misericordia. Sua Santità promise loro l’assoluzione ma, dall’Archivio Segreto Vaticano, una lettera scritta probabilmente dal cardinale Alessandro Farnese al fratello Pier Luigi riferisce la vera volontà del papa: a Perugia doveva mantenersi una guarnigione di 1000 uomini con altri 3/4000 nel contado e quant’altro fosse stato necessario per garantire la sicurezza del territorio veniva demandato al Farnese.

La rivendicazione di Paolo III nei confronti dei Baglioni fu feroce. Vennero umiliati e cacciati dalle proprie abitazioni ed esiliati dalla città e dallo Stato Pontificio. In difesa della supremazia del papato sulla città, come simbolo del potere pontificio, Paolo III ordina la costruzione di una fortezza militare realizzata sulle macerie del Collelandone, il quartiere di rappresentanza dei Baglioni (le fonti ci raccontano di palazzi e case torri eleganti e raffinate, alla stregua del Palazzo ducale di Urbino) che venne completamente raso al suolo.

La fortezza incomberà cupa e possente sulla città fino all’Unità d’Italia, momento in cui i Perugini la abbatterono per fare posto agli eleganti edifici che abbelliscono Piazza Italia.

Da questa circostanza nasce, secondo una leggenda che non trova fonti storiche, la panificazione priva di sale a Perugia e dintorni. Seppur sconfitti, i Perugini - il popolo più bellicoso che vi fusse in Italia a detta di Paolo III - rinunciarono a mangiare il pane salato, privandosi così di un piacere pur di non pagare le tasse al Papa invasore.

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