Bufale e web: perchè non le fermeremo mai In evidenza
Il patteggiamento accettato da Vannoni, boss del metodo Stamina, mi ha fatto riflettere di nuovo sul fatto che fosse necessario un processo e tutta questa fatica, per dimostrare che le presunte cure di uno psicologo della comunicazione, che diceva di avere un metodo miracoloso per salvare delle vite ma si rifiutava di pubblicarlo, era un truffatore.
Per arrivare al processo c’è voluto tanto, troppo tempo, un periodo di incertezza nel quale l’opinione pubblica si è spaccata in due, e soprattutto la rete era piena di sostenitori di Stamina, mentre il punto di vista scientifico (su una questione medica, eh, non sulla letteratura romanza) faticava ad affermarsi, come fossimo di nuovo nel Medioevo.
Preoccupato da questa storia, mi sono fatto un po’ di domande: perché su internet è molto difficile fare divulgazione seria, e le bufale hanno un successo inspiegabile? Le masse sono regredite all’homo erectus, o erano così facilmente ingannabili anche prima? Com’è possibile che la gente non si fidi più dei vaccini, o che creda a un metodo sospetto e grossolano come Stamina? Perché leggono una cosa discutibile su un blog sconosciuto, e subito ci credono? Cos’è questo incantesimo?
Cominciamo col dire che è un problema di contesto.
Il contesto scientifico è quello di una competizione tra colleghi ricercatori, che fanno a gara a chi fa la scoperta migliore. In questa competizione non devi sembrare intelligente, ma devi esserlo davvero, e usare argomenti che resistono alla prova dei fatti, perché sai che verranno messi duramente alla prova dai tuoi colleghi. Se sei un sostenitore grossolano di argomenti smontabili con i fatti, non vincerai, e la tua carriera finirà lì.
Questo meccanismo fa confrontare gli scienziati tra loro, e produce una selezione naturale per cui le teorie fallaci soccombono, e le teorie dimostrate vincono.
Il contesto giornalistico è più meno lo stesso: se un giornalista pubblica notizie false, i colleghi lo fanno a pezzi, il direttore lo licenzia, e i suoi contenuti perdono di importanza. Anche se spesso ci provano a spararla grossa, anche i giornalisti sono vincolati a dire la verità, se non altro per salvaguardare la loro carriera.
Ora invece osserviamo il contesto dell'uomo comune: andiamo al bar, dove non bisogna dimostrare niente di serio. Le teorie gridate davanti alle tartine al salmone non finiscono su una rivista specialistica o su un grande quotidiano, non servono a fare carriera: la competizione da bar serve solo a sfogarsi, a fare i ganzi con i presenti. Al bar vince chi è più bravo a sembrare intelligente, chi finge meglio di sapere cose che non sa. Una tragedia?
No, ovviamente. Chi se ne frega se al bar gli incompetenti giudicano cose che non gli competono? Siamo in un paese libero, le sciocchezze si possono ancora dire, perché rimangono chiacchiere.
Le masse di ricercatori, le masse di giornalisti, e le masse da bar, finora erano separate in compartimenti stagni: le grossolane discussioni da bar non si mischiavano mai con il confronto serio tra teorie scientifiche o informazione verificata. Dai bar non è mai uscita nessuna pubblicazione scritta in stampatello, con le K, gli errori grammaticali e i punti esclamativi. Ma poi è arrivato internet, e ha mischiato tutto.
Internet abbatte le frontiere: è un mezzo di totale democratizzazione delle informazioni, dove tutti possono accedere a tutto, tutti possono leggere, condividere ed esprimere giudizi. Giudizi – questo è il problema – scritti.
(se siete arrivati qui, abbiate ancora un po’ di pazienza)
Le bufale, e i commenti a sostegno delle bufale, su internet sono scritti, non orali come le chiacchiere da bar. In questo modo, risentono del fascino delle cose scritte: anche se sono sciocchezze, sembrano cose serie, hanno il carisma del Verbo (sì, proprio in senso biblico: la Parola scritta).
Nel web ogni opinione scritta pretende di essere seria come nel contesto scientifico o giornalistico, anche se avviene nelle modalità del bar: non ci sono carriere in ballo, e basta sembrare intelligenti, tanto nessuno scriverà mai un saggio con le tue sclerate su Facebook. Si tratta solo di vincere, di avere l’ultima parola, e qui perfino le parolacce aiutano: se sei in difficoltà e insulti il tuo avversario, magari lui se ne va disgustato, e tu vinci.
Non siamo ad Harvard: siamo nell’arena del web.
Inoltre, chiunque, davvero chiunque, nella rete si sente incaricato di scrivere articoli – e un articolo sembra sempre serio e ufficiale – usando tutta l’enfasi possibile (SCANDALO, VERGOGNA, FINORA CI HANNO MENTITO, ECCO LE PROVE DEL COMPLOTTO), e puntando molto sull’emozione. Questo è già un campanello d’allarme: una bufala emozionante abbassa le tue difese razionali, ti trasporta e ti fa perdere il controllo.
Gli scienziati e i bravi giornalisti, nel loro contesto, non devono emozionarsi: se si emozionano, e credono di avere a portata di mano la verità senza averla verificata attentamente, potrebbero perdere la competizione tra intelligenti rigorosi, e addio carriera.
L’utente medio di internet, invece, usa l’informazione come intrattenimento, perciò ognuno viene coinvolto in un’emozionante caccia al tesoro: trova la verità più gustosa, e dimostra con ogni mezzo che la tua è migliore delle altre.
Informazione spettacolo, dove la verità non vince facile, non è performante, mentre la bufala emozionante sì.
L’articolo dettagliato di quel premio Nobel sui neuroni specchio, o di quel premio Pulitzer sulla guerra in Siria, è difficile e noioso, non prenderà molti Mi Piace. L’articolo sulla bambina morta dopo l’antitetanica, invece, farà venire le palpitazioni e ne prenderà migliaia, centinaia di migliaia, e verrà condiviso ovunque.
Se poi la tua storia la “lanci” con un titolo efficace e con una foto emozionante, la cosa riuscirà ancora meglio: più emozione immediata, più intrattenimento, più utenti galvanizzati e posseduti dal demonio digitale che mettono mi piace impulsivi, condividono e danno apparente autorevolezza al tuo articolo.
Ecco che i compartimenti non sono più a tenuta stagna. Finché la divulgazione passava dalle aule universitarie e dai giornali seri, le bufale avevano vita difficile: venivano perquisite e fermate alla frontiera. Il sapere era meno democratico, la divulgazione era nelle mani di pochi, ma era tutto più verificato.
Ora, invece, tutto il sapere è in rete, a volerlo trovare lo si trova, ma la competizione tra opinioni porta a prevalere i contenuti più coinvolgenti, non quelli più verificati e seri.
L’autorevolezza data dal titolo di studio e della serietà professionale (non l’autorità, che è imposizione, ma l’autorevolezza, che si guadagna sul campo) non conta più niente: i criteri per prevalere nella competizione del web sono diversi.
La libera divulgazione di materiale non verificato, in mano a gente non competente, e destinato a un pubblico di altra gente non competente che, più che informata, vuole essere intrattenuta, produce un quasi sicuro successo delle bufale. È matematico.
Il successo delle bufale è sintomatico di internet e non è eliminabile, pena il controllo totale dei contenuti. Mettendo il temuto bavaglio alla rete, si potrebbero chiudere subito i siti che divulgano bufale, ma ci opporremmo tutti a un controllo così serrato: internet ormai è il nostro giocattolo, e ci piace perché è anarchico e libero.
In nome della libertà di espressione, ci teniamo le bufale e il loro strapotere di disinformazione.
Ora Facebook sta per introdurre il tasto anti-bufale, e Google lavora a un algoritmo in questo senso: ma funzionerà? O per aggirarlo basterà dire che si è vittime di un complotto? Immaginate un articolo contro i vaccini che riceve parecchie segnalazioni come bufala: all’autore basterà dire che chi lo segnala è in combutta con le grandi case farmaceutiche (I BIG PHARMA!!1!), ci costruirà un caso, farà tanto clamore e così via. Discussione eterna, tante visite per il suo blog, e alla frontiera le bufale passeranno di nuovo.
Nella battaglia per il successo nel web, le bufale hanno il terreno favorevole e l’artiglieria pesante. I partigiani della verità, invece, hanno una piccola trincea e un paio di carabine arrugginite. E all’orizzonte non si vedono i rinforzi.
Tenete duro, e mirate bene.