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Cosa deve fare Twitter per non morire: tre consigli da Dio

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Cosa deve fare Twitter per non morire: tre consigli da Dio

Tre piccole modifiche che renderebbero Twitter più appetibile per l'utenza


Cali in borsa, cali di utenti, calo di interesse: il social network dell’uccellino perde colpi, rischiando di snaturarsi per far fronte all’emergenza, o di farsi snaturare dal big che, se andiamo avanti così, lo comprerà (Google o Facebook, non c’è molta scelta).

In Italia soprattutto, Twitter resta una strana eccezione, un social che non tutti capiscono o trovano gustoso, divertente, appagante. Eppure, anche solo come sfogatoio dei vari italici stress, invidie e cattiverie, dovrebbe essere il preferito di tutti: ti metti davanti alla tv, guardi un talk show, un reality, un talent, e in un live tweeting collettivo sparli dei partecipanti, dei conduttori, dei temi trattati.
Ovviamente non è l’uso più nobile del social, ma potrebbe (dovrebbe) essere il più diffuso, sicuramente divertente e liberatorio.

E invece no: la gente si iscrive, ci prova, non capisce, si stufa, se ne va.
“Non lo capisco”
“Perchè non mi segue nessuno?”
“Ma che ci devo fare con gli hashtag?”
“Come funziona sto tweeter?”

Ebbene, ecco tre spunti che vado predicando da anni per migliorare l’esperienza utente, che a mio avviso cambierebbero poche cose, ma fondamentali.

140 CARATTERI DI SOLO TESTO
Se in un tweet inserisci una foto, sono 23 caratteri in meno; stessa cosa per i link. Se poi metti un paio di hashtag, ne perdi almeno altri 20. Stiamo parlando di circa 60 caratteri in meno, in uno spazio di 140 caratteri: follia pura.
Va bene la sintesi, ma lo spazio per dire le cose in 140 caratteri deve essere di 140 caratteri, non di 80. Come esiste già un campo per taggare le persone nelle foto, così si dovrebbe fare un campo a parte per inserire gli hashtag, uno per i link, e un’altro per le foto, senza che portino via preziosi caratteri, rendendo difficilissima l’esperienza dell’utente che, avendo ancora meno spazio del previsto per scrivere status, lascia perdere e giustamente se ne va.

HASHTAG PIÙ INTUITIVO
Un’ovvia conseguenza del punto qui sopra sarebbe la comprensione delle dinamiche di Twitter, altro punto ostico che porta gli utenti ad andarsene.
Avendo uno spazio dedicato per gli hashtag, gli utenti capirebbero meglio cosa sono e a cosa servono, o almeno si ricorderebbero di metterli (su Twitter sono fondamentali, davvero: no hashtag, no party), quindi il loro status finirebbe nelle conversazioni dove ci sono tanti lettori, avrebbero più visibilità, più followers, più interazioni, e quindi una certa gratificazione, una sensazione tipo “ma allora questo coso funziona!”, che scoraggerebbe l’abbandono del social.

MODIFICARE E CORREGGERE I TWEET
Su Twitter, se sbagli a scrivere un tweet o commetti un refuso, l’unica cosa che puoi fare è cancellare e riscrivere da capo. Tutti i social ti permettono di modificare il testo, ma Twitter no, e questa è una delle cose più fastidiose in assoluto: davvero non ho mai capito cosa aspettino a consentire la modifica dei tweet.
Questa estate se ne è accorta perfino Kim Kardashian (nota esperta di web 2.0 e user experience, tutti seguono i suoi seminari), che ha segnalato il problema a Jack Dorsey, fondatore del social. Lui le ha risposto dicendo che è una buona idea e lo faranno, come se non ci avessero mai pensato.

Spesso me lo chiedo, in effetti, e non senza una certa preoccupazione.
A cosa accidenti pensano, i boss di Twitter?

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