Beverly Pepper, tra Todi, l'Umbria e il Mondo
Intervista all’artista, tuderte di adozione, celebrata con una serie di iniziative che si tengono nel corso di tutto il 2018
“Molti artisti quando creano pensano di esser Dio! Io non ho questa sensazione. Sono grata di avere uno spazio, cerco soprattutto di non essere invasiva e di rispettare la sua natura: solo così puoi integrarlo al paesaggio e far sì che la gente del luogo ci si possa riconoscere e possa utilizzarlo nel quotidiano vivere. Ecco, è questa la funzione sociale dell’arte”. (Il Giornale dell’Arte - 8 agosto 2018). Questa è Beverly Pepper e in queste sue parole è contenuto una sorta di manifesto della sua arte. La scultrice americana, tuderte di adozione ormai da circa 50 anni, sta vivendo un anno intenso di iniziative e riconoscimenti legati proprio alla città di Jacopone: un grande progetto che si chiama “Beverly Pepper fra Todi e il mondo”.
Le Todi Columns del 1979 esposte a Forte di Belvedere a Firenze nel 1994
E così sul Colle e in particolare in Piazza del Popolo, dallo scorso 6 aprile, sono tornate le Todi Columns, quattro sculture monumentali, alte dagli 8 ai 12 metri, che erano state installate nello stesso luogo, per la prima volta, nel 1979. Le colonne erano state esposte poi negli Stati Uniti: a Washington nel 1980, durante la Conferenza internazionale di scultura e al Brooklyn Museum of Art di New York nel 1987. Negli anni Novanta sono state riportate in Italia per una mostra a Venezia, in occasione della Biennale del 1996, e in seguito, a Firenze, nel 1999, sono state protagoniste della mostra personale di Beverly Pepper a Forte Belvedere. L’artista ha quindi donato le opere ai Musei Civici di Venezia dove hanno trovato la loro installazione definitiva, nel cortile dello Spazio Thetis dell’Arsenale. Quelle presenti di nuovo a Todi sono quindi una riedizione delle sculture originarie, resteranno sulla piazza tuderte fino al 2 giugno e saranno poi spostate nel Parco di Beverly Pepper, che sarà inaugurato, sempre a Todi, il prossimo 14 settembre. Si tratterà del primo parco monotematico di scultura contemporanea in Umbria e il primo di Beverly Pepper nel mondo: un percorso naturalistico-urbano che collegherà il Tempio della Consolazione con il centro storico. Inoltre la Fondazione Beverly Pepper partecipa alla Biennale di Venezia 2019 promuovendo, dall’11 maggio al 24 novembre, la mostra “Beverly Pepper - Art in the Open”, ospitata presso le sale dello Spazio Thetis che già espone le Todi Columns originali. Il percorso espositivo sarà arricchito da una serie di fotografie inedite con le quali l’artista Gianfranco Gorgoni ha documentato la carriera di Beverly e dalla proiezione del documentario “L’Umbria di Beverly Pepper”.
“Dopo la mia partecipazione, nel 1962, alla mostra Sculture, a Spoleto, abbiamo iniziato a frequentare spesso queste zone, ma anche il buon cibo è stata una delle ragioni che ci ha portati in questa regione”
Exodus, 1972 - Parco di Beverly Pepper
Cos’ha provato quando ha rivisto le sue colonne monumentali sulla Piazza del Popolo di Todi?
Un’emozione così grande che non riesco a spiegare. Ho seguito l’installazione fin dall’alba, sono voluta restare il più possibile, non riuscivo ad andarmene dalla piazza quel giorno, mi sembrava un sogno. Nonostante la mia lunga carriera il momento dell’installazione rimane sempre il più emozionante, vedere come lavorano i miei assistenti, tutto ciò che hanno appreso in questi anni nel mio studio: sono stati straordinari.
Cosa rappresentano per lei l’Umbria e Todi in particolare? Cos’è che ama di più di questo territorio? E come ha conosciuto questa città che è diventata poi casa sua?
Io e mio marito Bill venivamo spesso al ristorante “Umbria” di Todi: ci piaceva molto e, sì, diciamo che il buon cibo è stata una delle ragioni che ci ha portati in questa regione. Inoltre dopo la mia partecipazione nel 1962 alla mostra “Sculture nella Città” a Spoleto, abbiamo iniziato a frequentare spesso queste zone. Un giorno abbiamo preso la cartina, abbiamo puntato il dito e siamo venuti a esplorare queste colline, ed eccoci qui.
Sempre legato all’Umbria è un personaggio che ha influenzato in modo determinante la sua arte, Giovanni Carandente. La sua richiesta di sperimentare il metallo è stata in qualche modo illuminante per lei: come è successo, da cosa è nata questa intuizione dell’allora direttore artistico delle Arti visive del Due Mondi?
Carandente era un uomo straordinario, ci siamo incontrati a Roma durante la presentazione della mia mostra alla Galleria Pogliani curata da Giulio Carlo Argan, in quel periodo lavoravo il legno e il bronzo. Giovanni mi propose subito di partecipare alla mostra di Spoleto e mi chiese se sapevo lavorare il ferro. Io dissi di sì anche se in realtà non avevo mai creato opere con quel materiale, così contattai un fabbro e mi feci insegnare un sacco di cose. Questo fabbro era stupito e non capiva perché una donna americana volesse imparare, a Roma, il suo mestiere. Nella totale incoscienza e temerarietà iniziai a creare opere monumentali in ferro.
In cantiere nuove opere in acciaio inox: “Questo materiale mi ha sempre affascinato molto perché ha una superficie riflettente con la quale chi guarda può interagire”
Helena, 2014 Cor-ten steel - Installazione Spazio Thetis Venezia Biennale Arte
Oggi i metalli sono i materiali “più cari” per lei?
L’acciaio è, in particolare, un materiale molto seduttivo anche se poco duttile, una sfida che mi ha sempre stimolato, che ha sempre stimolato la mia creatività. Alla fine ho capito che in qualche modo volevo “umanizzare” l’acciaio.
Essere una giovane artista d’avanguardia, donna e oltretutto molto bella, negli anni ‘50 e ‘60, è stato in qualche modo un ostacolo per la sua carriera oppure no?
Non ho mai fatto distinzioni tra artisti maschili e femminili e non ho mai pensato a me stessa come all’artista “donna”. Sicuramente la mia faccia tosta mi ha aiutata e da quando ho iniziato a lavorare non ho mai permesso a nessuno di fare questa distinzione, cioè di considerarmi prima come donna che come artista.
C’è un’opera di cui va maggiormente fiera o che considera particolarmente rappresentativa della sua produzione ed espressione artistica?
Non posso rispondere a questa domanda, ogni opera per me ha un valore unico, così come ogni materiale che ho usato. In generale nei miei lavori di land art mi sento soddisfatta quando l’opera “nel farsi” rimane fedele al mio disegno artistico, come nel caso del “Sol y Ombra Park” a Barcellona o di “Amphisculpture”, l’anfiteatro che ho donato alla città dell’Aquila.
Ha detto che “il pubblico è cresciuto” e che ora in molti la fermano per chiederle scusa, perché quando erano giovani non avevano capito il suo lavoro: il coraggio è quindi davvero più importante del talento per un artista, come ha dichiarato qualche tempo fa?
Assolutamente sì! Il coraggio di seguire me stessa nel creare opere d’arte mi ha permesso di sperimentare moltissimo: materiali, forme, dimensioni. Quando lavoro mi metto “dietro” la mia opera e ascolto cosa ha da dirmi. Non ho mai seguito le tendenze, ho sempre seguito me stessa, il mio lavoro e ciò che ispira la mia arte. Ci vuole coraggio, ma funziona.
A quali nuove e coraggiose opere sta lavorando?
Sto lavorando a nuove opere in acciaio inox, questo materiale mi ha sempre affascinato molto perché ha una superficie riflettente con la quale chi guarda può interagire. Mi piacerebbe realizzare un’opera monumentale in questo materiale lucido.
Per info: www.fondazioneprogettibeverlypepper.com - FB: ProgettiPepper - IG: beverly.pepper
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