Musique Concrète In evidenza
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Dopo quanto tempo il processo di adattamento modifica la specie, plasmandone le abitudini per rispondere alle necessità di sopravvivenza imposte dai mutamenti ambientali?
Più di un anno è passato dalla prima schiera di concerti annullati, dai primi tour cancellati, dalla strage di eventi che lasciava le nostre agende in bianco e falcidiava il popolo dello spettacolo dal vivo, dagli artisti alle maestranze di ogni ordine e grado. I mesi si sono susseguiti uno uguale all’altro, le zoppicanti dirette della primavera 2020 si sono evolute in streaming sofisticati, che a loro volta si sono espansi in articolati progetti digitali: dai tentativi di sopperire al bisogno immediato con surrogati – spesso inadeguati, ma inevitabili nella penuria del momento – all’autentico ripensamento dell’esperienza dell’evento, siamo diventati spettatori digitali. Le nostre stanze elette a palchetti esclusivi o privée inaccessibili, gli schermi trasformati in casse di dis-sonanza che hanno portato in casa nostra una versione bidimensionale dell’arte.
E non parlo ancora della calca sottopalco, del sudore e della polvere, delle orecchie che fischiano dopo una nottata consumata troppo vicini alla consolle. Quello che cerco di evocare attraverso il segno magico della parola scritta è l’esperienza diretta di un essere umano che è coinvolto nell’atto performativo – musicale, per me – di un altro essere umano. È la consistenza dell’aria attraversata dalla vibrazione sonora emessa da una persona che mette le mani sullo strumento, è la presenza di un corpo che vive attraverso un tempo e uno spazio e che mette tutta l’individualità irripetibile del qui e ora nell’eccezionalità della propria espressione artistica. È la cassa armonica della chitarra che incontra l’anca, è la condensa nell’ottone, è la bacchetta che schiocca sulle pelli. Quando torneremo sotto il palco ci ricorderemo, ancora, che la musica sono proprio le persone a suonarla?
E non parlo ancora della calca sottopalco, del sudore e della polvere, delle orecchie che fischiano dopo una nottata consumata troppo vicini alla consolle. Quello che cerco di evocare attraverso il segno magico della parola scritta è l’esperienza diretta di un essere umano che è coinvolto nell’atto performativo – musicale, per me – di un altro essere umano. È la consistenza dell’aria attraversata dalla vibrazione sonora emessa da una persona che mette le mani sullo strumento, è la presenza di un corpo che vive attraverso un tempo e uno spazio e che mette tutta l’individualità irripetibile del qui e ora nell’eccezionalità della propria espressione artistica. È la cassa armonica della chitarra che incontra l’anca, è la condensa nell’ottone, è la bacchetta che schiocca sulle pelli. Quando torneremo sotto il palco ci ricorderemo, ancora, che la musica sono proprio le persone a suonarla?
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