Dancity Winter 2023: "Notti Magiche" a Foligno
Una due giorni elettronica di grandissimo livello
a cura di Paolo Sciamanna
Si è svolta l'8 e il 9 a Foligno l'edizione invernale del Dancity.
Il Dancity è il festival di musica elettronica che, da quasi due decenni, valorizza ed anima la vita culturale dell'Umbria e costituisce un prezioso esempio di evento “anomalo” a livello nazionale.
La formula vincente oramai la conosciamo bene, location straordinarie, storiche, all'interno di una bellissima città, spettacolare nei suoi mille tesori del centro storico.
Edizione ai massimi livelli, come sempre.
Questa volta si è tornati ad avere diversi ambienti.
La novità di questa edizione è il teatro San Carlo, un accogliente gioiello architettonico contemporaneo.
Si sta realmente in un teatro, ci sono i rimandi all'architettura classica, ma il tutto è moderno e curatissimo.
Giorno 1.
Proprio al San Carlo inizia il primo giorno del festival, l'8 dicembre.
Ecco i tre nomi.
Bianca Scout artista inglese.
Ci rapisce con campionamenti soffusi, abbracciati, scavati nei sottosuoli, lambiti, usati, mai lanciati nel protagonismo.
Lei recita e canta ieraticamente.
Concede poco alla fisicità, la sfiora in superficie senza concedersi alla performance.
Un live misterioso, ancestrale e spirituale.
Laurie Anderson vi riconoscerebbe, senza alcun dubbio, un rispettoso omaggio alle sue opere e al suo rivoluzionario approccio negli anni ‘80.
Leila Bordreuil
Violoncellista, compositrice e sound-artist, è francese, vive a Brooklyn.
La sua performance si potrebbe intitolare: "il violoncello come pretesto".
Inimmaginabile senza vederla.
Emette una breve nota dal suo violoncello, che poi viene filtrata, atomizzata, destrutturata, polifonizzata.
Lei si orienta disinvolta tra i vari filtri, muove lentamente il suo strumento, girato verso il pubblico, senza l'archetto, solo per rubarne la fisicità e la capacità di creare risonanze.
Ingabbia le sue distorsioni e i suoi lunghi flussi di rumore attraverso la cassa di quel suo antico mezzo.
Il tutto si trasforma in una lunga performance noise industrial e il suo violoncello è goduriosamente rassegnato a questo protagonismo contemporaneo.
Rainy Miller
Inglese, inizia il suo spettacolo scendendo tra il pubblico, camminando fra le file di sedie del teatro San Carlo.
Recita in mezzo alla gente.
Con il suo microfono inietta forza, dolore, vigore, sofferenza.
Sale in piedi sulle casse, si butta a terra, si trascina, urla, sempre recitando.
Sembra cercare il punto di congiunzione e di separazione tra un essere umano e la musica che si spande nel teatro.
Passa anche a dei momenti di alchimia fra un rap accennato e il suo riflesso.
Il pubblico era ipnotizzato.
Dopo questi primi tre immaginifici momenti siamo passati all'Auditorium San Domenico, che da sempre è il "luogo" per eccellenza degli eventi Dancity.
Ecco i 2 artisti:
Malibu
Lei è francese, si esibisce nel grande palco, sola, in mezzo, come un menhir di un mondo futuro.
Sempre al buio, mai una luce su se stessa.
L'Auditorium San Domenico è squarciato solo da un faro bianco che gira, come cercando l'essenza, poi l'assenza, della notte.
Anche le luci psichedeliche sono sempre bianche, come i fumi,
come se volessero riemergere dalle tenebre, cercare un riscatto al buio.
Le sue composizioni sono fatte di ambient eterea, con tratti di gonfiore sinfonico, progressioni di accordi, voci.
È il suono adatto a colmare completamente il grande auditorium e farlo vibrare, fino nelle sue arterie più recondite.
David August e Andrea Belfi.
Questa è stata l'esibizione clou della serata.
David August, tedesco, alle manovre elettroniche e l'italiano Andrea Belfi con batteria e percussioni.
A scolpire il tutto anche la fluttuante presenza di due danzatrici.
Un vero spettacolo a tutto tondo, paragonabile a una sinfonia, molti movimenti, passaggi, secche sequenze digitali e lunghe sonorità gloriose, ariose.
Straordinario il contrasto del fondo scuro, con luci solo bianche a giocare con i fumi, sempre bianchi.
I due musicisti ai lati, il palco lasciato alle sottolineature delle ballerine.
Non uno spettacolo di danza, la loro presenza era calcolata, dosata e sincronizzata, mai continuativa, senza protagonismo.
Una esibizione fortemente emozionante, le danzatrici che si alternavano ai giochi di luci bianche su fumi bianchi.
Il pubblico era in visibilio, applausi scroscianti a fine esibizione.
Giorno 2.
9 dicembre, teatro San Carlo.
BIPED
Lei è cipriota, si presenta minuta, apparentemente fragile, sul palco.
Sul volto un vistoso trucco bianco, che evidenzia l'occhio destro.
Ci aggredisce subito con frammenti, campioni, fraseggi, a volte sfumature di jazz, altre rumore puro.
Sembra non voler trovare confini con la sua musica, mentre passa con disinvoltura dal comando dell'attrezzatura digitale all'uso di alcuni tamburi di batteria, poi al sax soprano.
Ci culla delicatamente, con composizioni che rientrano nell'arco dei pochi minuti.
Recita anche, coinvolta e commossa, a volte la sua voce viene soffiata dai reverberi, altre reinventata dall'autotune.
Trova anche lo spazio per lanciare proclami contro le guerre e i genocidi.
Ringrazia, più volte, di poter essere da noi in Italia, dicendo che ama l'Italia.
Un live act di grande significato.
Lisa Stenberg è svedese e con i suoi suoni sembra volerci trasportare nel suo paese d'origine, dove il freddo, le distese disabitate, la lenta e difficile crescita di piante ed arbusti nel gelo, sono il significato e il senso della vita.
Le sue note, poche, solitarie, lunghissime, diventano il nucleo sul quale lei somma e stratifica armoniche e distorsioni.
La sua esibizione si approfitta dei nostri neuroni, scova l'ansia, la trasforma in emozione, lenta, ma sofferta.
La sua algida presenza, immobile, si somma alle infiorescenze sottili delle sue sonorità.
Sarahsson viene dalla Gran Bretagna.
Oltre che una straordinaria performer è anche una costumista e si vede.
Il suo costume di scena è una lunga gonna, che ci proietta in un mondo di leggende celtiche.
Cintura di pelle e, sopra, solo un top, sempre di pelle, ad impreziosire il suo corpo fatto di eleganti muscoli scolpiti.
Il suo corpo del resto è una parte centrale del suo live.
Lei prima ci lusinga con un avvio di melodie dolci e sognanti, con tanto di uccellini cinguettanti.
Su questo dolce tappeto si insinua delicatamente con il suo corno filtrato.
Da lì è un susseguirsi alternato di contorsioni, fisiche e sonore.
Sembra una danza dedicata alla nascita e al tormento di una dea pagana.
Uno spettacolo veramente profondo, forte, attraente.
Il pubblico ha applaudito per molti minuti.
Giorno 2, auditorium San Domenico.
Mario Baktovic
Una di quelle "follie"che si possono gustare solo al Dancity.
Dopo ore di suoni elettronici e sconvolgenti tuffi nel rumore e nella distorsione, l'esibizione di Mario Baktovic sembra un errore di calcolo, un incidente di percorso.
Un uomo da solo, con la sua fisarmonica, in mezzo al palco.
Un attimo dopo ti trovi immerso in una serie di sequenze che citano, omaggiano ed accolgono, a braccia aperte, continui rimandi a Terry Riley e a Philip Glass, sì ma è un fisarmonicista e da solo!
L'artista si produce anche in una divertente gag.
Prima ci spiega che la fisarmonica è uno strumento del quale nessuno conosce delle star, in particolare delle Rock star.
A questo punto chiede al pubblico di farlo sentire tale, di "esaltarsi” quando lui lancerà dei plettri di chitarra.
Anzi, ci tiene a precisare che ne lancerà due, uno ad una parte del pubblico e uno all'altro lato, perché lo ha visto fare a... Slash!
Finita la parte acustica ci spiega la strumentazione elettronica che userà.
Un set assolutamente personale e personalizzato, composto da strumenti a corda etnici, pulsantiera di fisarmonica collegata a sintetizzatori e una pedaliera elettronica di quelle da chiesa.
E qui tornano le atmosfere più sperimentali da "Dancity classico" (sì, è un ossimoro voluto!).
Il pubblico oscilla tra lo sbigottito, il divertito e l'affascinato.
Ne risulta un forte coinvolgimento e un grande entusiasmo per tutti.
Matthew Herbert & Giovanni Guidi
Questo è l'evento più atteso del festival, una produzione esclusiva per Dancity.
Lo sfidante connubio tra il pianista jazz Giovanni Guidi e l'elettronica dell'inglese Matthew Herbert.
Piano a coda in versione dodecafonica, senza lasciare spazi, se non angusti e claustrofobici, all'amato Jazz di cui Giovanni Guidi è un punto di riferimento nel panorama italiano.
Stavolta il suo pianoforte si intreccia e si inerpica, alternandosi tra abbandono e dominio, con l'elettronica di Matthew Herberts.
Una ricerca sonora, quella di Herbert, che esplode in un concretismo sonico con volontà ritmica, spesso dall'incedere marziale e meccanico.
Guidi ed Herbert, due pianeti che si avvicinano, si incontrano, generano orbite parallele e le trasformano in abbracci impossibili.
Un grandissimo successo sottolineato dal calore degli applausi del pubblico.
Entrambe le serate hanno poi visto la parte "notturna" all'Hangar, dove DJ di grande forza espressiva hanno deliziato coloro che il movimento fisico lo volevano anche esprimere, non solo guardare.
Ecco i nomi delle esibizioni all’Hangar:
Ben Ufo
Matthew Herbert
Ogazon
Djrum
u-Ziq
Darwin
Om Unit
Si è conclusa quindi, con tutte queste perle, anche l'edizione Winter 2023 del Dancity.
Ancora una volta la riflessione è quella che mi scaturisce ad ogni edizione di questo festival.
Più che una riflessione è un grazie di cuore, a chi tenta ancora di fare delle proposte che ci proiettino in qualche mondo non banale, non già visto, non di cassetta.
Qualcosa per cui vale la pena stare davanti ad un palco ed entusiasmarsi.
Queste sì che sono "notti magiche"!
Alla prossima...
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