Infantile senza essere bisbetica In evidenza
Mi sarebbe piaciuto diventare così da grande. Anche quando da bimba occhialuta guardavo l’Ape Maia, nonostante a quei tempi non desiderassi altro che diventare adulta per togliere gli occhiali e seguire anch’io le tracce dell’immensa natura che avrebbe fatto da sfondo alla mia vita.
Una natura bisbetica e contraddittoria, la mia - già palesata a pochi anni di età - che si sarebbe accompagnata a una natura assai differente da quella che usciva dal tubo catodico in cui si ambientavano le ecologiche avventure dell’apina più dolce e innocua della storia. Perché io non mi svegliavo in un fiore, non possedevo la leggerezza o l’altezza per sfiorare il cielo e non avevo come migliori amici una cavalletta e un’ape fifona. Certo, oggi sappiamo che di cavallette e fifoni nella vita ne avrei incontrati e sarei stata tutto tranne che innocua come Maia, ma mentre canticchiavo feliciotta la sigla di uno dei miei cartoni preferiti, pensavo che il mondo fosse davvero come lo vedeva lei. Poi si va avanti e ci si dimentica di com’eravamo. Si diventa altro. Si scavalca il tubo catodico e si rischia la trasformazione in calabroni o in alberi: inchiodati alle proprie radici senza capire che direzione queste abbiano preso sotto terra. Oppure si resta ape, ma si decide di usare il pungiglione. Si cresce, insomma. Non come Maia che a 103 anni è ancora buona e gaia. Perché nella vita vera si cambia senza aver deciso di cambiare canale, senza aver fatto i conti con l’ape regina e la natura. E allora ti ricordi di quando da bambina volevi diventare grande senza capire cosa significasse, ma volendo conservare da qualche parte gli scorci di quel tubo catodico che, oggi sai ti ha fatto crescere a suon di stronzate melense, ma ti ha anche suggerito di non abbandonare il senso di quel vola vola e ribellione pacifica, insito in ogni azione dell’Ape Maia. Perché si diventa altro, ma bisbetiche e ipermetropi si resta. E allora, avere due ali trasparenti risulta vitale, come rubare nettare da un melo.
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