Mauro Casciari, la iena più poliedrica di sempre
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Intrattenitore, attore, presentatore televisivo e conduttore radiofonico. Ma su una cosa non transige: «Non chiamatemi giornalista»
di Rebecca Pecori
Il suo volto è entrato in tutte le case d’Italia con il programma Le Iene ma la sua vera passione è sempre stata la radio. Dopo anni di servizi irriverenti su e giù per l’Italia, oggi al giornalismo d’assalto preferisce ritmi di vita più tranquilli, “da pensionato” come dice lui. Appena può ritorna nella sua Umbria, per schiarirsi le idee e ritrovare un po’ di equilibrio. Abbiamo fatto due chiacchiere con Mauro Casciari.
Mauro, andiamo dritti al punto, perché hai deciso di lasciare Le Iene?
Era un lavoro sfiancante. Io facevo tutto da solo: contattavo le persone, scrivevo i servizi e li montavo. Questo non lasciava spazio per altro, avevo solo due settimane libere ad agosto. Certo, potevo scegliere di non andare in onda ma in quel caso non sarei stato pagato. Dopo dieci anni così poi arriva un momento che non ce la fai più. Sono ritmi che solo a vent’anni sei in grado di reggere. Arrivato a quaranta senti il bisogno di fermarti. Così una domenica d’inverno ho deciso di mollare tutto, era il 29 febbraio 2016. Una data che ho scelto di proposito, un anno bisestile, così me ne ricordo ogni quattro anni. In quel periodo erano successe molte cose che mi avevano toccato da vicino. Ho realizzato che la vita è una sola e bisogna fare ciò che ci fa stare bene perché non si sa mai quando potrà finire.
Parli di Leonardo Cenci?
Esatto. Di lui e di mio padre. Entrambi si sono ammalati di tumore nel 2012 e i medici gli hanno dato pochi mesi di vita. Mio padre se n’è andato poco dopo ma Leo ce l’ha fatta, per sette anni. Era un amico, una persona fantastica, ironica. Aveva la mia stessa età, la sua storia poteva essere la mia. Da ragazzi ci conoscevamo di vista, ma affrontare insieme questo momento di dolore ci ha unito molto. Apprezzavo il suo impegno sociale e il messaggio che ha cercato di diffondere con la sua associazione Avanti tutta, di cui per quattro anni sono stato anche presidente onorario. Trascorrere con lui così tanto tempo mi ha fatto capire cosa davvero conta, ho imparato a ridimensionare cose alle quali tendevo a dare troppo peso.
Qual è il ricordo più bello che hai con lui?
Sicuramente quando abbiamo corso insieme la maratona di New York. Lui avrebbe voluto partecipare già a quella del 2012, ma per colpa dell’uragano Sandy ha dovuto rimandare. Quella delusione però l’ha presa come un segno del destino e così è tornato con me nel 2016 felice come non mai di realizzare il suo sogno. Quella mattina eravamo arrivati a Staten Island parecchio prima dell’inizio. Non era ancora giorno e tutti gli atleti si erano dati appuntamento in un grande parco dopo il ponte di Verrazzano. A terra sopra l’erba era stato messo del fieno per non far bagnare i partecipanti. Così ci siamo sdraiati lì ad aspettare e appena il sole ha iniziato a sorgere Leonardo mi ha detto «Questo è il giorno più bello della mia vita».
La malattia ha portato via anche un’altra tua cara amica, Nadia Toffa…
Quando ho lasciato Le Iene lei non aveva ancora scoperto il suo tumore. Qualche anno prima ci eravamo fatti una foto insieme a Leo e ogni volta che la riguardo penso che quel giorno lei non avrebbe mai immaginato cosa di lì a poco le sarebbe accaduto. Purtroppo non le sono stato vicino come ho fatto con Leonardo, anche perché credo che i colleghi debbano passare in secondo piano in certe situazioni. C’è la famiglia, ci sono gli affetti, quelli veri. Personalmente, anche per il grande clamore mediatico, ho preferito aspettare che fosse lei a farsi viva se e quando avesse avuto la voglia, la forza e il tempo. E l’ha fatto. Sono stato al suo funerale il 16 agosto a Brescia e quando Davide Parenti, l’ideatore di Le Iene, ha poggiato sulla sua bara bianca la cravatta nera della divisa da “iena” è stata una scena straziante.
Anche se hai deciso di chiudere con quel mondo, c’è qualcosa della “iena” che eri che porti ancora con te?
Assolutamente sì. Pif mi ha insegnato che ci vogliono almeno sette anni prima che la gente smetta di associarti al programma perché comunque si tratta di una cornice molto caratterizzante. Anche Fiorello per prendermi in giro ancora mi chiama “ex iena”. In realtà a posteriori ho capito che quel periodo mi ha insegnato a stare per strada, a capire cosa prova la gente, a raccontare storie. Adesso nel mio lavoro in radio sento di poter parlare all’Italia perché per anni l’ho vissuta in prima persona. Dopo più di trecento servizi posso dire di conoscere gli italiani da Bolzano ad Agrigento e questa è una grande fortuna. Però quell’atteggiamento da giustiziere mascherato non mi appartiene più.
Casciari: “Il mio obiettivo è far sorridere”
Perché hai deciso di lasciare la televisione per passare alla radio?
In realtà io ho sempre preferito la radio, sin da bambino. Una passione che mi ha trasmesso mio padre. Ricordo ancora che a cinque anni adoravo parlare con le radiotrasmittenti, ero già folgorato a quell’età. Poi da ragazzo ho curato il programma delle dediche di Radio Augusta Perusia, quella che oggi si chiama Umbria Radio. Era il ‘94 ed è stata la prima volta che ho fatto radio vera. Dopodiché c’è stata Radio Dj nel 1999, RDS nel 2002 e Radio Due nel 2005. Quando nel 2006 sono entrato a Le Iene ho dovuto abbandonare il mio primo amore e un po’ mi è pesato. Finalmente dopo anni sono tornato alle origini: vado in onda tutti i pomeriggi su Radio Due con Numeri uni, un programma comico con Corrado Nuzzo e Maria di Biase. Poi faccio da spalla a Fiorello la mattina con Viva Asiago 10 , un’edicola improvvisata per strada davanti alla sede Rai di Roma.
Tu che hai fatto sia radio che televisione, a chi pensi appartenga il futuro?
Ai social network. Tempo dieci anni e gli unici programmi televisivi sopravvissuti saranno quelli di Rai Uno e Canale Cinque. Il resto sarà affidato alle tv on demand e a internet. Con la moltiplicazione dei canali non ci sono più le risorse che c’erano una volta. Adesso non bastano le buone idee ma servono gli sponsor che paghino il programma. Ho vissuto questo cambiamento in prima persona. Molte persone guardavano i miei servizi più sul sito internet che in diretta. Così ho iniziato a investire molto sui miei canali social, da Facebook a Twitter, realizzando brevi video comici, per creare un intrattenimento che sia fruibile direttamente sullo smartphone. Ma è una forzatura che sto facendo a me stesso, perché comunque sono cresciuto in una realtà diversa.
C’è qualcosa che cambieresti della tua vita se potessi tornare indietro?
Sicuramente smetterei di fare Le Iene molto prima, oppure mi impunterei per fare solo servizi comici, così da evitare di essere ancora ricordato come giornalista invece che intrattenitore. Il mio obiettivo è far sorridere, non far arrabbiare la gente. Purtroppo è più facile creare indignazione al giorno d’oggi. È impressionante pensare che nonostante abbia fatto delle pagliacciate pazzesche le persone mi ricordino ancora per le facce contrite e i racconti tristissimi.
Come ti vedi tra dieci anni?
Il sogno sarebbe quello di diventare un autore dietro le quinte per programmi di intrattenimento in diretta su internet, con un gruppo di giovani all’opera. Quindi, fase uno: abusare della mia faccia e del mio corpo finché sono presentabili. Fase due: sfruttare la voce in radio o lavorando come doppiatore. Fase tre: usare la testa, finché regge.
Il suo volto è entrato in tutte le case d’Italia con il programma Le Iene ma la sua vera passione è sempre stata la radio. Dopo anni di servizi irriverenti su e giù per l’Italia, oggi al giornalismo d’assalto preferisce ritmi di vita più tranquilli, “da pensionato” come dice lui. Appena può ritorna nella sua Umbria, per schiarirsi le idee e ritrovare un po’ di equilibrio. Abbiamo fatto due chiacchiere con Mauro Casciari.
Mauro, andiamo dritti al punto, perché hai deciso di lasciare Le Iene?
Era un lavoro sfiancante. Io facevo tutto da solo: contattavo le persone, scrivevo i servizi e li montavo. Questo non lasciava spazio per altro, avevo solo due settimane libere ad agosto. Certo, potevo scegliere di non andare in onda ma in quel caso non sarei stato pagato. Dopo dieci anni così poi arriva un momento che non ce la fai più. Sono ritmi che solo a vent’anni sei in grado di reggere. Arrivato a quaranta senti il bisogno di fermarti. Così una domenica d’inverno ho deciso di mollare tutto, era il 29 febbraio 2016. Una data che ho scelto di proposito, un anno bisestile, così me ne ricordo ogni quattro anni. In quel periodo erano successe molte cose che mi avevano toccato da vicino. Ho realizzato che la vita è una sola e bisogna fare ciò che ci fa stare bene perché non si sa mai quando potrà finire.
Parli di Leonardo Cenci?
Esatto. Di lui e di mio padre. Entrambi si sono ammalati di tumore nel 2012 e i medici gli hanno dato pochi mesi di vita. Mio padre se n’è andato poco dopo ma Leo ce l’ha fatta, per sette anni. Era un amico, una persona fantastica, ironica. Aveva la mia stessa età, la sua storia poteva essere la mia. Da ragazzi ci conoscevamo di vista, ma affrontare insieme questo momento di dolore ci ha unito molto. Apprezzavo il suo impegno sociale e il messaggio che ha cercato di diffondere con la sua associazione Avanti tutta, di cui per quattro anni sono stato anche presidente onorario. Trascorrere con lui così tanto tempo mi ha fatto capire cosa davvero conta, ho imparato a ridimensionare cose alle quali tendevo a dare troppo peso.
Qual è il ricordo più bello che hai con lui?
Sicuramente quando abbiamo corso insieme la maratona di New York. Lui avrebbe voluto partecipare già a quella del 2012, ma per colpa dell’uragano Sandy ha dovuto rimandare. Quella delusione però l’ha presa come un segno del destino e così è tornato con me nel 2016 felice come non mai di realizzare il suo sogno. Quella mattina eravamo arrivati a Staten Island parecchio prima dell’inizio. Non era ancora giorno e tutti gli atleti si erano dati appuntamento in un grande parco dopo il ponte di Verrazzano. A terra sopra l’erba era stato messo del fieno per non far bagnare i partecipanti. Così ci siamo sdraiati lì ad aspettare e appena il sole ha iniziato a sorgere Leonardo mi ha detto «Questo è il giorno più bello della mia vita».
La malattia ha portato via anche un’altra tua cara amica, Nadia Toffa…
Quando ho lasciato Le Iene lei non aveva ancora scoperto il suo tumore. Qualche anno prima ci eravamo fatti una foto insieme a Leo e ogni volta che la riguardo penso che quel giorno lei non avrebbe mai immaginato cosa di lì a poco le sarebbe accaduto. Purtroppo non le sono stato vicino come ho fatto con Leonardo, anche perché credo che i colleghi debbano passare in secondo piano in certe situazioni. C’è la famiglia, ci sono gli affetti, quelli veri. Personalmente, anche per il grande clamore mediatico, ho preferito aspettare che fosse lei a farsi viva se e quando avesse avuto la voglia, la forza e il tempo. E l’ha fatto. Sono stato al suo funerale il 16 agosto a Brescia e quando Davide Parenti, l’ideatore di Le Iene, ha poggiato sulla sua bara bianca la cravatta nera della divisa da “iena” è stata una scena straziante.
Anche se hai deciso di chiudere con quel mondo, c’è qualcosa della “iena” che eri che porti ancora con te?
Assolutamente sì. Pif mi ha insegnato che ci vogliono almeno sette anni prima che la gente smetta di associarti al programma perché comunque si tratta di una cornice molto caratterizzante. Anche Fiorello per prendermi in giro ancora mi chiama “ex iena”. In realtà a posteriori ho capito che quel periodo mi ha insegnato a stare per strada, a capire cosa prova la gente, a raccontare storie. Adesso nel mio lavoro in radio sento di poter parlare all’Italia perché per anni l’ho vissuta in prima persona. Dopo più di trecento servizi posso dire di conoscere gli italiani da Bolzano ad Agrigento e questa è una grande fortuna. Però quell’atteggiamento da giustiziere mascherato non mi appartiene più.
Casciari: “Il mio obiettivo è far sorridere”
Perché hai deciso di lasciare la televisione per passare alla radio?
In realtà io ho sempre preferito la radio, sin da bambino. Una passione che mi ha trasmesso mio padre. Ricordo ancora che a cinque anni adoravo parlare con le radiotrasmittenti, ero già folgorato a quell’età. Poi da ragazzo ho curato il programma delle dediche di Radio Augusta Perusia, quella che oggi si chiama Umbria Radio. Era il ‘94 ed è stata la prima volta che ho fatto radio vera. Dopodiché c’è stata Radio Dj nel 1999, RDS nel 2002 e Radio Due nel 2005. Quando nel 2006 sono entrato a Le Iene ho dovuto abbandonare il mio primo amore e un po’ mi è pesato. Finalmente dopo anni sono tornato alle origini: vado in onda tutti i pomeriggi su Radio Due con Numeri uni, un programma comico con Corrado Nuzzo e Maria di Biase. Poi faccio da spalla a Fiorello la mattina con Viva Asiago 10 , un’edicola improvvisata per strada davanti alla sede Rai di Roma.
Tu che hai fatto sia radio che televisione, a chi pensi appartenga il futuro?
Ai social network. Tempo dieci anni e gli unici programmi televisivi sopravvissuti saranno quelli di Rai Uno e Canale Cinque. Il resto sarà affidato alle tv on demand e a internet. Con la moltiplicazione dei canali non ci sono più le risorse che c’erano una volta. Adesso non bastano le buone idee ma servono gli sponsor che paghino il programma. Ho vissuto questo cambiamento in prima persona. Molte persone guardavano i miei servizi più sul sito internet che in diretta. Così ho iniziato a investire molto sui miei canali social, da Facebook a Twitter, realizzando brevi video comici, per creare un intrattenimento che sia fruibile direttamente sullo smartphone. Ma è una forzatura che sto facendo a me stesso, perché comunque sono cresciuto in una realtà diversa.
C’è qualcosa che cambieresti della tua vita se potessi tornare indietro?
Sicuramente smetterei di fare Le Iene molto prima, oppure mi impunterei per fare solo servizi comici, così da evitare di essere ancora ricordato come giornalista invece che intrattenitore. Il mio obiettivo è far sorridere, non far arrabbiare la gente. Purtroppo è più facile creare indignazione al giorno d’oggi. È impressionante pensare che nonostante abbia fatto delle pagliacciate pazzesche le persone mi ricordino ancora per le facce contrite e i racconti tristissimi.
Come ti vedi tra dieci anni?
Il sogno sarebbe quello di diventare un autore dietro le quinte per programmi di intrattenimento in diretta su internet, con un gruppo di giovani all’opera. Quindi, fase uno: abusare della mia faccia e del mio corpo finché sono presentabili. Fase due: sfruttare la voce in radio o lavorando come doppiatore. Fase tre: usare la testa, finché regge.
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