Gemelli Ceccobelli, l'arte "garaggesca" che si fa in due
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Opere contemporanee e rivoluzionarie, realizzate a quattro mani
Testo: Isabella Zaffarami - Brano: “Highway Star” - Deep Purple
Sono gemelli, figli - e nipoti - d’arte, sono giovani - 33 anni - e danno vita alle loro opere da quando erano quindicenni. Auro e Celso Ceccobelli sono i figli dell’artista Bruno Ceccobelli e nipoti dello scultore Toni Fabris. Operano nel campo dell’arte contemporanea, vivono a Todi e lavorano a quattro mani, sperimentando con vari materiali diverse tecniche scultoree, ma anche la videoarte. Sono inoltre maestri di ceramica e nel 2004 hanno appreso la tecnica del Raku. Dal 2013 si sono messi alla prova utilizzando le fibre resinate: carbonio, kevlar, titanio e vetro per modellare sculture. Nella videoarte sviluppano autonomamente tutte le varie fasi, dalle riprese alle composizioni musicali e al montaggio. Tra le loro opere “doCumentArti” è una documentazione poetica che omaggia l’artista rappresentato: un insieme di circa 100 video che non si pongono come veri e propri documentari né come video d’arte, ma che sono una via di mezzo che rispetta la forma espressiva dell’artista filmato, esprimendo allo stesso tempo una versione interpretativa degli autori.
Tra i più importanti ripresi al lavoro ci sono Jannis Kounellis, Enzo Cucchi e Beverly Pepper. Tra le opere di Auro e Celso ci sono anche sculture performative “post-apocalittiche”, realizzate con oggetti di scarto, con inserti di strutture vegetali e con voci della natura. I gemelli Ceccobelli utilizzano il termine “pneumagrafìa” per definire la loro rivoluzionaria tecnica pittorica: si tratta di dipingere lo pneumatico con olio motore esausto amalgamato a terre colorate e poi pressarlo sopra a carte fatte a mano. Dei mezzi meccanici vengono quindi utilizzati per disegnare e questo permette di rappresentare su carta il rapporto tra uomo, macchina e natura. I due chiamano la loro arte “garaggesca” perché è legata ai motori e in particolare ai materiali di scarto dell’industria automobilistica e motociclistica.
Sculture performative, video d’arte, ceramiche Raku, “pneumagrafie”
Auro e Celso, da cosa traete più di tutto ispirazione?
La natura è la nostra fonte di ispirazione maggiore, con le sue evoluzioni, il suo ritmo, le sue perfezioni cosmiche. I nostri lavori - microcosmo - devono arrivare ad avvicinarsi il più possibile a quel livello evolutivo naturale, originale, decisivo, insito nella natura e nell’universo - macrocosmo. A casa, durante i quotidiani lavori di giardinaggio, arrivano le ispirazioni migliori. La necessità di fare arte nasce anche dall’esigenza di evitare di somatizzare una nostra passione volutamente frenata, quella per i motori, poco culturale e molto pericolosa. E c’è inoltre la volontà di seguire le orme familiari: anche questo è un grande stimolo. La maggior parte delle volte che un artista crea, o meglio trasforma, lo fa per un’esigenza: il dover perpetuare un’ossessione. È così anche per noi, l’ossessione che cerchiamo di assolvere è quella di trovare un equilibrio tra uomo, macchina e natura.
E come scegliete strumenti e materiali, soprattutto per le vostre opere scultoree?
Abbiamo voluto denominare la nostra arte “garaggesca” in quanto la scelta per la nostra ricerca artistica è legata ai materiali di scarto dell’industria automobilistica e motociclistica, come sineddoche della nostra passione e, a seconda di quello che troviamo nei cassonetti dei meccanici di fiducia, rettifichiamo quel loro odioso ineluttabile destino, consacrando quei meccanismi a una rinascita nell’arte, ma con una funzione poetica ed eversiva in quanto l’osservatore, per animarle, dovrebbe interagire con le opere, grazie alla presenza di luci, suoni della natura, superfici specchianti. Ovviamente c’è anche un grande uso di materiali e di tecniche tradizionali: le carte, l’olio, il medium, le terre e gli ossidi. Le carte riportano impronte figurative, che devono dare bene il senso degli oggetti, non tanto per rimandare all’oggetto in sé, ma piuttosto per osservare come si è trasformato: una metafora di impegno sociale. Le nostre opere sono come un velo squarciato, un riso amaro, oltrepassandolo si trova un seme di rinascita.
I mezzi più strani o particolari con i quali avete lavorato?
Sicuramente la bici con il motore a combustione batte tutti gli altri mezzi usati perché rispecchia l’emblema di questi tempi: la bicicletta, simbolo di purezza, se unita al consumo di benzina diventa invece simbolo di caos e di masochismo. Il bello dei mezzi che usiamo e che useremo nella nostra ricerca è inoltre che questi sono potenzialmente infiniti se calcoliamo tutte le loro possibili varianti: tocco, peso, pressione, usura, stato del terreno d’appoggio, tempi, chilometri percorsi, CO2 emesso, inclinazione, curve, dritti e sgommate.
“L’ossessione che cerchiamo di assolvere è quella di trovare un equilibrio tra uomo, macchina e natura”
Artisti gemelli: è più facile o più difficile produrre a “quattro mani”?
Naturalmente più facile, si aggiungono idee a idee e quando la concentrazione di un gemello svanisce, c’è in aiuto l’altro che apporta nuovi input e riflessioni. Un po’ come quando studiavamo per gli esami universitari: uno leggeva a voce alta dal libro di testo di latino, l’altro dormiva!
Lavorate sempre insieme o realizzate anche delle opere individuali?
Ci sono sempre il benestare e l’approvazione di entrambi per le opere realizzate, un reciproco assenso e una reciproca compartecipazione alla visione di ognuno.
Progetti per il futuro?
Uno degli inediti per la prossima esposizione ad Amelia è l’opera “Mira Lampo”. Sarà questa “pneumagrafìa”, incorniciata in un finestrino d’auto, insieme ad altre opere di medesima concezione, protagonista dell’esposizione nella cittadina umbra, nel mese di ottobre. Siamo anche coinvolti in un evento itinerante, ancora da definire, che comprenderà quattro mostre estere in tre continenti diversi, organizzate dall’Associazione Giovani Pittori di Spilimbergo e documentate da un catalogo Mondadori.
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Per info:
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Sono gemelli, figli - e nipoti - d’arte, sono giovani - 33 anni - e danno vita alle loro opere da quando erano quindicenni. Auro e Celso Ceccobelli sono i figli dell’artista Bruno Ceccobelli e nipoti dello scultore Toni Fabris. Operano nel campo dell’arte contemporanea, vivono a Todi e lavorano a quattro mani, sperimentando con vari materiali diverse tecniche scultoree, ma anche la videoarte. Sono inoltre maestri di ceramica e nel 2004 hanno appreso la tecnica del Raku. Dal 2013 si sono messi alla prova utilizzando le fibre resinate: carbonio, kevlar, titanio e vetro per modellare sculture. Nella videoarte sviluppano autonomamente tutte le varie fasi, dalle riprese alle composizioni musicali e al montaggio. Tra le loro opere “doCumentArti” è una documentazione poetica che omaggia l’artista rappresentato: un insieme di circa 100 video che non si pongono come veri e propri documentari né come video d’arte, ma che sono una via di mezzo che rispetta la forma espressiva dell’artista filmato, esprimendo allo stesso tempo una versione interpretativa degli autori.
Tra i più importanti ripresi al lavoro ci sono Jannis Kounellis, Enzo Cucchi e Beverly Pepper. Tra le opere di Auro e Celso ci sono anche sculture performative “post-apocalittiche”, realizzate con oggetti di scarto, con inserti di strutture vegetali e con voci della natura. I gemelli Ceccobelli utilizzano il termine “pneumagrafìa” per definire la loro rivoluzionaria tecnica pittorica: si tratta di dipingere lo pneumatico con olio motore esausto amalgamato a terre colorate e poi pressarlo sopra a carte fatte a mano. Dei mezzi meccanici vengono quindi utilizzati per disegnare e questo permette di rappresentare su carta il rapporto tra uomo, macchina e natura. I due chiamano la loro arte “garaggesca” perché è legata ai motori e in particolare ai materiali di scarto dell’industria automobilistica e motociclistica.
Sculture performative, video d’arte, ceramiche Raku, “pneumagrafie”
Auro e Celso, da cosa traete più di tutto ispirazione?
La natura è la nostra fonte di ispirazione maggiore, con le sue evoluzioni, il suo ritmo, le sue perfezioni cosmiche. I nostri lavori - microcosmo - devono arrivare ad avvicinarsi il più possibile a quel livello evolutivo naturale, originale, decisivo, insito nella natura e nell’universo - macrocosmo. A casa, durante i quotidiani lavori di giardinaggio, arrivano le ispirazioni migliori. La necessità di fare arte nasce anche dall’esigenza di evitare di somatizzare una nostra passione volutamente frenata, quella per i motori, poco culturale e molto pericolosa. E c’è inoltre la volontà di seguire le orme familiari: anche questo è un grande stimolo. La maggior parte delle volte che un artista crea, o meglio trasforma, lo fa per un’esigenza: il dover perpetuare un’ossessione. È così anche per noi, l’ossessione che cerchiamo di assolvere è quella di trovare un equilibrio tra uomo, macchina e natura.
E come scegliete strumenti e materiali, soprattutto per le vostre opere scultoree?
Abbiamo voluto denominare la nostra arte “garaggesca” in quanto la scelta per la nostra ricerca artistica è legata ai materiali di scarto dell’industria automobilistica e motociclistica, come sineddoche della nostra passione e, a seconda di quello che troviamo nei cassonetti dei meccanici di fiducia, rettifichiamo quel loro odioso ineluttabile destino, consacrando quei meccanismi a una rinascita nell’arte, ma con una funzione poetica ed eversiva in quanto l’osservatore, per animarle, dovrebbe interagire con le opere, grazie alla presenza di luci, suoni della natura, superfici specchianti. Ovviamente c’è anche un grande uso di materiali e di tecniche tradizionali: le carte, l’olio, il medium, le terre e gli ossidi. Le carte riportano impronte figurative, che devono dare bene il senso degli oggetti, non tanto per rimandare all’oggetto in sé, ma piuttosto per osservare come si è trasformato: una metafora di impegno sociale. Le nostre opere sono come un velo squarciato, un riso amaro, oltrepassandolo si trova un seme di rinascita.
I mezzi più strani o particolari con i quali avete lavorato?
Sicuramente la bici con il motore a combustione batte tutti gli altri mezzi usati perché rispecchia l’emblema di questi tempi: la bicicletta, simbolo di purezza, se unita al consumo di benzina diventa invece simbolo di caos e di masochismo. Il bello dei mezzi che usiamo e che useremo nella nostra ricerca è inoltre che questi sono potenzialmente infiniti se calcoliamo tutte le loro possibili varianti: tocco, peso, pressione, usura, stato del terreno d’appoggio, tempi, chilometri percorsi, CO2 emesso, inclinazione, curve, dritti e sgommate.
“L’ossessione che cerchiamo di assolvere è quella di trovare un equilibrio tra uomo, macchina e natura”
Artisti gemelli: è più facile o più difficile produrre a “quattro mani”?
Naturalmente più facile, si aggiungono idee a idee e quando la concentrazione di un gemello svanisce, c’è in aiuto l’altro che apporta nuovi input e riflessioni. Un po’ come quando studiavamo per gli esami universitari: uno leggeva a voce alta dal libro di testo di latino, l’altro dormiva!
Lavorate sempre insieme o realizzate anche delle opere individuali?
Ci sono sempre il benestare e l’approvazione di entrambi per le opere realizzate, un reciproco assenso e una reciproca compartecipazione alla visione di ognuno.
Progetti per il futuro?
Uno degli inediti per la prossima esposizione ad Amelia è l’opera “Mira Lampo”. Sarà questa “pneumagrafìa”, incorniciata in un finestrino d’auto, insieme ad altre opere di medesima concezione, protagonista dell’esposizione nella cittadina umbra, nel mese di ottobre. Siamo anche coinvolti in un evento itinerante, ancora da definire, che comprenderà quattro mostre estere in tre continenti diversi, organizzate dall’Associazione Giovani Pittori di Spilimbergo e documentate da un catalogo Mondadori.
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