24 febbraio 2016 In evidenza
Zuckerberg ha studiato a lungo, vagliando diverse opzioni prima di arrivare alla prescelta che ci regala una faccina in lacrime per ogni caro estinto, un volto arrabbiato da cliccare per poter in qualche modo dire la nostra in occasione del prossimo attentato terroristico e addirittura un “wow” con tanto di bocca e occhi spalancati in caso di corna spiattellate su Facebook.
Sempre il 24 febbraio però è successo qualcos’altro: proprio quel giorno è scoppiata la mania di “petaloso”, termine coniato per errore da un bambino, ma che è piaciuto alla maestra, tanto da spingerla a scrivere all'Accademia della Crusca che ha aperto alla possibilità di inserirlo nel vocabolario. Il clamore generato da questa notizia, con l'hashtag #petaloso che è rimbalzato per giorni su tutti i principali social, è forse un segnale positivo. E non tanto per il fatto in sé (i bambini inventano continuamente parole nuove, per non parlare di mia nonna che, dopo l’arrivo dell'Alzheimer, avrebbe potuto riempire un paio di pagine dello Zingarelli), ma perché, proprio quel mondo dei social che reclama icone nuove per potersi esprimere con un click, si è mobilitato per una parola, forse sciocca e probabilmente poco utile, ma che è comunque uno strumento di comunicazione più articolato e complicato da usare di una leggera pressione dell'indice sul mouse. Questa storia ci ha fatto parlare di aggettivi derivati dai sostantivi, della lingua italiana, della sua continua evoluzione e di neologismi (per una volta non dall’inglese). Roba che, in tempi di Reactions, meriterebbe almeno un centinaio di faccine “wow”.