Lunà-tici In evidenza
Rimasi lì, con lo sguardo in attesa fisso sul cellulare, teso alla ricerca di una spiegazione che mi definisse. Perché – mi chiedevo – non posso essere semplicemente dolce, decisamente dolce, inequivocabilmente dolce? Forse perché anche io appartengo alla categoria dei “lunatici”: volubili, imprevedibili, insensatamente esaltanti e forse a volte anche un po’ esaltati. Non è facile neanche per un lunatico avere a che fare con la propria persona (soprattutto se donna-con-le-sue-cose!): non fai in tempo ad esser d’accordo con te stesso che già cambi idea. E pretendi che gli altri si adeguino al momento, come quando c’è il sole e d’improvviso piove. Succede e basta. E l’altro deve esser pronto a correre al riparo. Fenomeni di nuvole passeggere e soli instabili, di lune piene e lune storte. Sono solo tempeste umane, di sicuro con noi non esiste noia!
Io ero semplicemente me stessa, senza mai essere uguale a me stessa.
Mi misi a cercare tra i miei dischi. Mi serviva qualcosa che mi facesse coraggiosamente confrontare con un’identità diversa dalla mia. Una musica a due. Un ballo. “Lunàtico”, Gotan Project. Quel ritmo mi catapultò in una dimensione onirica: mi immaginai nel bel mezzo di una sala, con il corpo e uno stato d’animo in perenne ricerca (ma di cosa?) e in continuo movimento (ma verso dove?). Facile preda di me stessa, decisi allora di darmi con costanza qualche pausa ed ecco che qualcuno già mi aveva preso la mano. Mi lasciavo condurre, fiduciosa di seguire il passo: ero ancora io e anche l’altro riusciva a calarsi in quella musica senza perdersi. Potevano esistere davvero delle mani che non volevano ingabbiarmi ma solo ballare con me. In quel momento essere senza aggettivo mi sembrò fascinoso e sognante. Proprio come la sensazione che mi regalava quel tango. Esisteva qualcuno che non voleva spiegarmi per forza e che mi lasciava sfuggire a definizioni fisse. Ed io esistevo senza alcuna esattezza d’essere. Capii che solo di fronte ad un complimento a metà avrei potuto tendere la mano e magari poi lasciarmi guidare.
Rilessi quel messaggio. Quella frase dava spazio all’infinito e, allo stesso tempo, mi dava la libertà di non andare altrove. E forse stavolta non avrei neanche cambiato idea.
Andai sotto casa sua, con un sorriso a metà, con la mia luna a metà (come sono le lune quando ti ci puoi sedere sopra per esser cullata) e gli regalai il disco.
Perché sì, sono dolce, anche se non so come, ma di certo a modo mio.