Un palazzo antico e vecchi ricordi In evidenza
Entro e dopo pochi passi mi ritrovo in mezzo al chiostro terrazzato con una vista meravigliosa. Vedo il cielo grigio freddo con sfumature di azzurro che sovrasta i vecchi tetti di vecchie case. La luce è quella stanca e fredda, senza ombre, dei pomeriggi invernali. Lungo le mura sia arrampicano scheletri di viti senza foglie. Un gatto nero raggomitolato su sé stesso sta facendo meditazione e se ne frega altamente della mia presenza. Vorrei starmene lì, fermo come il gatto, a guardare per un po’ quel panorama malinconico e infinito che sembra la rappresentazione di un’anima rara che nasconde un segreto profondo.
Devo arrivare al terzo piano. Non c’è ascensore. Salgo le scale di pietra avvolte dalla penombra. Sono larghe e profonde con l’alzata bassa. Come tutte quelle degli antichi palazzi nobili. Le pareti sono giallo ocra e trasmettono un calore che contrasta con l’aria fredda di fuori. Alla fine di ogni rampa di scale c’è un pianerottolo illuminato da una fievole luce alla quale grandi finestroni concedono di entrare.
Passo dopo passo, scalino dopo scalino, la mia mente inizia un viaggio nel tempo. Provo la stessa emozione che provavo da piccolo quando entravo nel grande palazzo antico della mia città dove abitava Nicola, il mio compagno di scuola delle elementari. Ogni volta che andavo a casa sua mi affrettavo a salire le immense scale che mi incutevano timore. Buie, impregnate di antica polvere e di secolari ragnatele. Entrando nell’appartamento di Nicola la paura delle scale rimaneva chiusa fuori, sul pianerottolo e quindi … magia … tutto si trasformava.
La fantasia e la gioia prendevano il posto dell’angoscia. I divani diventavano colline, i tappeti navi, le sedie motociclette e il cane un drago. Io e Nicola, armati di spade laser, combattevamo instancabilmente per ore contro robot e alieni immaginari. Purtroppo i pomeriggi finivano sempre troppo presto e all’ora di tornare a casa la porta si riapriva. Sulle immense scale buie. Il terrore era sempre lì ad aspettarmi. Paziente e pronto a schernirmi con grasse risate silenziose dall’inquietante eco. Maledetto, non vedeva l’ora di assistere all’esilarante spettacolo di me, bambino cicciottello che si scapicollava lungo le scalinate, in un tempo infinitamente breve, scandito dalla luce a tempo che mi concedeva solo pochi attimi per giungere alla salvezza che avrei trovato in strada, nella mano di mio padre.