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Esattamente due mesi fa atterravo a Londra. Mai stata qui prima d’ora. A sorvolare la Manica, insieme all’aereo, c’era la voglia di fare. E di bere tè ogni pomeriggio alle cinque
Al fin giungemmo, e non di certo a riveder le stelle. No, siamo finalmente arrivati alla parte migliore di questo mio soggiorno londinese. Il celebre, tentacolare, deludente Erasmus+ Traineeship. Trattasi di una lunga storia: non vogliatemene a male se la dividerò in puntate.
“Se qualcosa può andar male, andrà male”. Mai assioma fu più azzeccato nel caso del mio Erasmus. Un ringraziamento speciale ad Arthur Bloch, allora, per aver sintetizzato così perfettamente il black humour dell’ingegner Murphy.
Non che questo epilogo possa valere per la mia storia. Piuttosto, lo dedico a tutti quei cervelli in fuga che a Londra hanno trovato un lavoro conforme ai propri studi e interessi e ne hanno fatto un salvifico lasciapassare per quella rosa di beati cui tutti, in un modo o nell’altro, speriamo un giorno di poter accedere: il regno dei cieli. In altre parole, la dimora di chi ce l’ha fatta.
Sono settimane ormai che provo a scrivere questo pezzo. Mi sembra di essere tornata al liceo, quando concludere il tema era ancora più difficile che iniziarlo. Per uscirne viva, di solito, mi affidavo a una citazione. Penoso, non c’è che dire. Fortuna vuole, stavolta, che non esista frase capace di descrivere questi sei mesi trascorsi a Londra.