Caso Meredith: amnesie investigative e colpevoli omissioni In evidenza
Le motivazioni della sentenza finale insistono sugli errori commessi nelle indagini
L’interminabile processo di Amanda Knox e Raffaele Sollecito avrebbe potuto essere meno travagliato, e concludersi con molta più affidabilità circa la colpevolezza o l’innocenza, se solo le indagini fossero state svolte correttamente.
È questo, in sintesi, il giudizio che si ricava dalle motivazioni della sentenza di assoluzione, da poco depositate nella Quinta Sezione Penale della Suprema Corte: stando a quello che si legge, il processo per l’omicidio di Meredith Kercher ha avuto un andamento “obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose defaillance o amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine”.
Sulla scena del crimine non sono mai state trovate tracce biologiche di Sollecito e della Knox, ma solo di Rudy Guede. La famosa traccia biologica di Sollecito, rinvenuta sul gancetto del reggiseno della vittima, era talmente esigua che è stata ritenuta “elemento privo di valore indiziario”.
Riguardo Amanda Knox, l’unica sicura colpevolezza è quella relativa alle calunnie nei confronti di Patrick Lumumba, poi completamente scagionato. Il dubbio riguardava presunte pressioni subite da Amanda in sede di interrogatorio, che potrebbero averla spinta ad accusare Lumumba, ma quelle accuse furono da lei formulate anche davanti al pm, nonché messe per iscritto da Amanda stessa nel suo memoriale, quindi in due momenti privi di pressioni psicologiche.
In ogni caso, la Suprema Corte insiste molto sulla gravità delle “colpevoli omissioni” nelle indagini: se non ci fossero state queste defaillance investigative, sarebbe stato possibile “delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva vuoi della colpevolezza vuoi dell’estraneità” di Knox e Sollecito, rispetto all’accusa di omicidio.
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