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L'editoriale n.114

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Il dramma è che non sembrava Svezia contro Italia, sembrava Ikea contro Mondo Convenienza

Un Frecciarossa anche in Umbria. L'annuncio non è ancora ufficiale, ma forse stavolta ci siamo davvero; come lungamente invocato da Piacere Magazine (in realtà se non ci fosse qualcuno nel perimetro della politica pronto a rivendicare l'illuminazione e a tacciarmi di mitomania, potrei persino asserire di essere stato il primo in assoluto a paventare e proporre con forza l'opzione a cui si è arrivati) la soluzione era dietro l'angolo. Ovvero l'arretramento del Frecciarossa che arriva ad Arezzo, già ribattezzato dai maliziosi il “FrecciaBoschi” in quanto attivato dal governo Renzi di cui la ministra aretina era uno dei volti di spicco, fino a Perugia. Semplice, lineare, veloce. Con buona pace di chi si riempiva la bocca con il luogo comune del binario locale che non avrebbe potuto sopportare il transito di una Freccia. Leggende metropolitane. Ma avevamo scritto e sottolineato anche questo in tempi non sospetti.

Ora però, visto che PM più che proporre e provocare non può, vorrei anche fare i nomi (rigorosamente bipartisan) di due politici ai quali devo riconoscere il merito di essersi pubblicamente caricati il tema sulle spalle. Si tratta di Marco Squarta e Giacomo Leonelli (Fratelli d'Italia il primo, Partito Democratico il secondo), attivi come pochi in questi mesi nel tentativo di smuovere le acque. Due under 40 che dimostrano come ci sia bisogno di freschezza e dinamismo in politica, e di come probabilmente la nostra classe dirigente locale abbia davvero bisogno di un ricambio generazionale.

La prova del nove? Il fatto che gli unici a polemizzare con questa scelta siano due over 60, il sindaco di Foligno, Nando Mismetti, e quello di Terni, Leopoldo Di Girolamo. I quali, invece di applaudire una mossa che finalmente rompe, soprattutto a livello d'immagine, l'isolamento dell'Umbria, si lamentano perché perché il Frecciarossa si ferma troppo a Nord. È il triste retaggio dell'Umbria dei campanili. Un retaggio che solo politici giovani che abbiano davvero a cuore il bene della regione possono spazzare via.

Sia chiaro, l'età non è una colpa. Ma il mondo sta cambiando così velocemente che la sensazione è che oggi servano sempre con maggior urgenza giovani preparati (in tutti i settori) con uno sguardo contemporaneo sul presente. Sarà un caso ma la Nazionale che non centra un Mondiale per la prima volta da 60 anni a questa parte era allenata da un signore di 70 anni.
Sto strumentalizzando troppo? Forse. Il fatto è che certe cose sembrano scritte nelle stelle. E il calcio è un po' la metafora di un paese “Ta-vecchio” che per non morire ha bisogno di svecchiare in fretta.

L'editoriale n.114
   
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.