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L'editoriale n.90

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L'editoriale n.90

Definisce i giocatori neri “mangiabanane”: eletto Presidente FIGC. Corre a baciare la nonna dopo un gol: ammonito. Il calcio, sport educativo

Ci siamo. Entriamo nel mese della verità, quello che stabilirà una volta per tutte se Perugia sarà o meno capitale europea della cultura 2019. Quello in cui sapremo se il capoluogo, appoggiato da Assisi (al netto della cervellotica dicitura “con i luoghi di Francesco d'Assisi e dell'Umbria” ), la spunterà sulle altre cinque contendenti: Matera, Siena, Ravenna, Cagliari e Lecce. E vincere sarebbe davvero un successo di portata storica, soprattutto per la ricaduta in termini positivi ed economici che avremmo sul territorio. Se in fondo oggi Siena è la città del Palio o Matera la città dei sassi, in troppi continuano a considerare Perugia la città della droga, triste nomea che rischia di diventare un'etichetta identitaria in assenza di identità davvero forti, quali né il jazz (almeno non più) né il cioccolato (almeno non ancora) possono oggi ambire a essere. Diventare capitale della cultura significherebbe imporsi con un nuovo biglietto da visita al mondo. Certo, uno dei requisiti fondamentali per spuntarla è proprio il fattore identitario; e qua il rischio del cane che si morde la coda è altissimo. Anche perché, oggi più che mai, la città sembra identificarsi soprattutto nei centri commerciali, che di culturale hanno ben poco (per carità, il cibo è cultura ma né i fast food né le archeologie dei luoghi in cui sorgevano discoteche storiche sembrano sufficienti per imporre la candidatura di Perugia). Eppure è là che migrano le attenzioni morbose dei cittadini, attratti dall'apertura di un nuovo centro commerciale come le scimmie di Kubrick dal monolito. Staremo a vedere. Consolandoci nel frattempo con due dati incoraggianti: in Umbria aumentano le imprese femminili e sono in crescita le start up innovative: ben 26 nel corso dell'ultimo anno. Sempre meglio delle start-up di questi luoghi di alienazione periferica che da noi ancora vengono accolti come l'ultima Mecca del consumismo spacciato per aggregazione e che in America (ovvero nel Paese che li ha allattati e sdoganti) hanno iniziato a chiudere, uno dopo l'altro. PS Dalla stampa locale apprendo di una maga che frodava il fisco. I tempi cambiano davvero se neanche le maghe fanno più le fatture.

L'editoriale n.90
   
Pubblicato in Editoriale
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.

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