Vino è piacere, la salute non c’entra niente In evidenza
“Avvertenze terroristiche”, “un pericoloso precedente”, “un approccio ideologico” aveva tuonato Coldiretti in un comunicato stampa del 12 gennaio che annunciava battaglia relativamente alla questione irlandese. Uno scontro entusiasticamente abbracciato pochi giorni dopo da una delle più importanti associazioni del vino italiano: per il 13 e i 14 gennaio Assoenologi aveva infatti organizzato a Napoli un simposio intitolato “Vino e Salute, tra alimentazione e benessere”. Un appuntamento che aveva visto alternarsi sul palco partenopeo personalità anche molto diverse tra loro i cui interventi erano caratterizzati da un comune denominatore: nel vino c’è sempre qualcosa che può fare più o meno bene. Non è così, purtroppo: certo che il vino può essere per esempio un cardioprotettivo, ma si tratta del più tipico esempio di cherry picking, una fallacia logica caratterizzata da un’attitudine che ignora tutte le prove che potrebbero confutare una tesi e che evidenzia solo quelle a proprio favore.
Se per esempio per la carne rossa e per i cibi ricchi di zuccheri, alimenti che dovremmo limitare in una sana alimentazione, esistono delle linee guida che indicano delle quantità da non superare che non portano ad aumentato rischio, per le bevande alcoliche ci sono solo delle raccomandazioni. Le prove che abbiamo a disposizione indicano che un consumo anche moderato di alcol, e quindi di vino, aumenta il rischio di cancro. Per questo sarebbe più responsabile da parte di alcuni dei più importanti esponenti del mondo del vino insistere sul basso rischio, sul consumo frazionato in occasione dei pasti e sulle quantità da non superare nell’arco della giornata.
Della serie: beviamo poco, beviamo bene, spassiamocela alla grande ma con tutta la consapevolezza possibile relativamente ai rischi legati al vino, alla birra, alle bevande alcoliche in generale.